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Renato Gabrielli, autore e docente di drammaturgia, racconta in un testo dai toni narrativi la storia di due donne, partendo dal loro legame con il padre. La storia parte da un desiderio e da un bisogno antico, il bisogno di ascoltare di narrare di inventare vite, sogni, luoghi, attraverso i personaggi. Ma la storia è una truffa... perché, per dirlo con le parole di Pessoa, ogni poeta, ogni scrittore, è un fingitore. «Il poeta è un fingitore. /Finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.»
Lo spettacolo in modo surreale e ironico si trasforma in un’indagine sulla figura paterna per raccontare anche il mondo femminile, il rapporto delle donne nei confronti della vita, della fede e dell’autorità. Marta e Maria, le due figure in scena, prendono spunto dalle sorelle di Lazzaro, descritte nel Vangelo di San Luca, sono agli antipodi, una vittima, l’altra ribelle: una vede il padre come un mito, l’altra come un padrone violento. Francesca Perilli e Laura Gamucci, interpretano con buone

capacità le sfaccettature dei personaggi e la relazione ambigua che lega le due sorelle. Marta e Maria vivono in modo completamente diverso il rapporto con l’autorità paterna e il relativo desiderio di libertà; rappresentano due approcci diversi nei confronti della vita, due mondi destinati a non incontrarsi, a non trovare pace nemmeno dopo la morte del padre, condannate a restare insieme, continueranno a dar vita ad un gioco continuo e ripetitivo in un non luogo, dove tempo e spazio appaiono dilatati. Il testo diventa una riflessione sul ruolo del padre ma ci spinge ad un’ulteriore considerazione: come è cambiato, rispetto a qualche decennio fa, la figura paterna? Molto. Oggi la figura del padre padrone è quasi scomparsa, oggi andrebbe analizzato il rapporto che le donne, in quanto madri, in quanto figlie, compagne, hanno con padri sempre più assenti, padri mammizzati (come suggerisce Bauman nei suoi studi) padri sempre più amici... Oggi occorrerebbe riflette sull’assenza del padre in una società sempre più liquida.
La regia di Massimiliano Speziani, affronta il testo con semplicità e leggerezza, concentrandosi sui volti, sulle espressioni delle due donne, sui gesti studiati nei minimi dettagli; pochi oggetti scenici, due sedie, girevoli e un’urna cineraria (che sovrasta le donne come un totem); molti i riferimenti psicanalitici da “Totem e Tabù” di Freud, alla lingua come raffigurazione dell’inconscio di Lacan. Pochi oggetti in scena, ma non è questo il punto si può fare teatro con un solo oggetto scenico ma quell’oggetto deve parlare, raccontare, svolgere una funzione metonimica infinita, la sua natura rinvia a una cera funzione sciale, culturale è la regia che costruisce la rete di significati e attraverso ciò, costruisce la sua visione del mondo la sua poetica teatrale. Si è sentita, quindi, la mancanza di un’invenzione scenica, un ulteriore passo che Massimiliano Speziani, attore apprezzato in diverse produzioni e regista dotato di sensibilità e intuizione, può compiere, superando l’idea che il teatro sia solo voce, narrazione, corpo. Dando spazio anche alla parola esplosiva che nasce dagli oggetti dai materiali scenici messi in campo dal regista e dalla sua visione del testo. Il suo percorso artistico potrebbe continuare e arricchirsi in questa direzione. Gli auguriamo quindi di continuare, di sperimentare, di osare, ha talento necessario per farlo.

Milano, Teatro Linguaggicreativi, 10 Aprile 2015