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«Chi ha paura di Virginia Woolf?» canticchiano Martha e George di tanto in tanto, facendo il verso alla canzoncina “Chi ha paura del lupo cattivo”. La chiave di lettura del celebre testo di Edward Albee è tutta lì, una cosa rimanda a un’altra, una parola apre mondi distanti, sotto la superficie si cela il significato, il non detto, il male che si insinua. Il cinema ha reso celebre la sceneggiatura con la memorabile pellicola del ’66 con interpreti Elizabeth Taylor e Richard Burton, mentre Broadway lo ha visto in cartellone a lungo con un successo forse inatteso. Fino al 24 maggio va in scena al TEATRO MENOTTI di Milano (via Ciro Menotti, 11) “Chi ha paura di Virginia Woolf”,

per la regia di Arturo Cirillo (che ne è anche protagonista nel ruolo di George).
Si tratta di un testo affascinante, duro e talvolta spietato, un crescendo di rabbia e violenza, purgatorio di passioni represse e meschinità che si palesano in tutta la loro indicibile durezza. Così il giovane baldanzoso Nick, dietro la maschera del bravo maritino, cela ambizioni e corruttele infinite per scalare la scala sociale; George riposa nel rimpianto e nel dolore che non si può narrare, cullandosi nel suo passato torbido fra invenzione e realtà; Martha è sboccata e sopra le righe, infuriata con il proprio destino e con l’altrui incapacità di renderlo migliore, sempre che ciò sia possibile; infine la svampita Honey con la sua gravidanza isterica e la sua ingenua esplosione di dolore.
Cosa c’è sotto la superficie dell’America buonista e sorridente degli anni Sessanta, pare chiedersi Albee. Cosa cela la natura umana sotto la maschera dei ruoli sociali ancora pervasivi, pare insistere nell’interrogativo Cirillo con la sua rilettura così minimal e tagliente. Niente se non la parola conta in questa pièce, niente se non il rigurgito amaro che suona purificatore per anime devastate da quelle stesse maschere che ricercano spasmodicamente e da cui continuano a rifuggire a colpi di drink liberatori.