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Anno zero: così viene definita questa edizione, la prima appunto, dell’Apulia Fringe Festival, svoltosi ad Andria dal 18 al 24 maggio. Riceviamo l’invito attraverso il solerte lavoro dell’addetto stampa Emilio Nigro, collega nell’ambito anche della critica teatrale. Naturalmente è inevitabile essere presenti in questa regione che ci ha dimostrato frequentemente l’interesse al confronto tra critici, studiosi, artisti ed organizzatori, oltre alla  volontà costante rivolta alla produzione ed alla scoperta della drammaturgia contemporanea, non solo proveniente dalle fucine pugliesi, ma anche da tutto il Sud e dal Nord Italia. Il giovane ideatore ed organizzatore è Vincenzo Losito, classe 1990, nativo della stessa Andria, cittadina dalla pietra bianca che viene scelta, tra vicoli e chiese, come location dell’intero festival. La formazione di Losito tocca anche altri Fringe Festival che, nel corso degli ultimi anni, ha frequentato ed osservato, compresa la sua collaborazione con il

Festival Internazionale “Castel dei Mondi”,  quest’ultimo presente in giuria nelle vesti del direttore Riccardo Carbutti. Ed in giuria ritroviamo anche  in nomi di Giulio Baffi, Anna Maria Monteverdi, Nicola Viesti, Giulia Delli Santi, Davide Ambrogi, Maurizio Stammati, Teresa Ludovico, Maurizio Pellegrino, e lo stesso Vincenzo Losito. Nonostante le assenze di alcuni giurati, vengono decretati sette finalisti. Entriamo a far parte dell’Apulia Fringe Festival, da spettatori naturalmente, negli ultimi due giorni conclusivi, il 23 e 24 maggio, appena in tempo per osservare i sette prescelti. Tutti gli spettacoli sono stati ospitati in luoghi specifici della città, legati alla  ristorazione o adibiti ad attività assolutamente lontane dal teatro. La scelta dell’Organizzatore ha puntato sul concetto dell’ “a teatro con gusto”, portando avanti un connubio tra la creazione artistica, il luogo specifico, la vista ed il gusto. Naturalmente “l’anno zero” di cui parla Losito, denominazione ribadita anche da alcuni giurati durante la premiazione, prevede una valutazione attenta di ciò che dovrà essere necessariamente modificato nella prossima edizione – confermata durante la premiazione – e di ciò che invece alimenta fortemente questo Festival. La compresenza di tutti gli spettacoli, peraltro numerosissimi, in scena durante gli stessi orari ed in luoghi differenti, con inevitabili e consueti slittamenti, ritardi e sovrapposizioni, rende complesso l’approccio del pubblico, del visitatore esterno, del critico teatrale, degli stessi giurati. Discriminare l’attenzione nei riguardi di uno spettacolo piuttosto che di un altro crea delle defaillance all’interno dell’assetto organizzativo dell’intero Festival. Problematiche che potranno essere risolte facilmente in futuro, ma che, durante questa edizione, hanno fatto storcere il naso ad alcuni artisti. Ciò che invece alimenta questo Festival, e di cui dobbiamo sicuramente tener conto, è il coraggio: organizzato da giovani e rivolto a giovani artisti, in un luogo inconsueto per quanto riguarda la tradizione teatrale, spingerà altri giovani, in futuro, ad osare nell’organizzazione di altri Festival, in altri luoghi inconsueti, auspicandone possibilità creative ed economiche. Il nostro primo approccio con la bella cittadina di Andria è stato caratterizzato da uno dei due spettacoli di strada, o meglio da una visita guidata e  teatralizzata della durata di ben due ore, condotta attraverso il suggestivo centro storico della città. L’idea dello stesso Vincenzo Losito, e la realizzazione del regista Riccardo Cannone, è quella di porre come protagonista una vera guida turistica, Daniela Porro, la quale, attraverso auricolari, comunica agli spettatori i suoi pensieri, le sue elucubrazioni da archeologa, rivolgendo il suo sguardo, e quindi anche il nostro, alle strade del centro storico, ai palazzi, e soprattutto agli interventi violenti che sono stati operati sui siti antichi della città. La guida, dunque, recita, pur non essendo un’attrice, facendo finta che gli spettatori siano invisibili, così come gli stessi abitanti incuriositi che le rivolgono alcune domande. Il nostro incedere ci rende fantasmi che si aggirano per il labirinto delle vie antiche di Andria, bianche e lucide di pioggia. Ci ritroviamo nel quartiere dei forni antichi, scendiamo dentro il ventre di un’antica fornace, ascoltiamo due giovani attori recitare, pur con delle incertezze dettate dal contesto e dall’allestimento in continuo movimento, Fabio de Palma e Luigi Di Schiena, con la partecipazione di Gioia Monica Guglielmi, attrice e assistente alla regia. Si citano alcuni dei nomi illustri dei personaggi nati ad Andria o direttamente legati alla cittadina pugliese, attraverso dialoghi che traggono ispirazione dalla vita di persone realmente esistite. FLÂNEUR, questo il nome del progetto, parla di Giorgio Pastina, Giuseppe Pastina, Nicola Labroca, Mario Labroca, Salvatore Bosca, Fabrizio II Carafa, Carlo Gesualdo, Maria d’Avalos, Antonio Lomusico, Michele di Bari, ed infine il famoso Carlo Broschi detto Farinelli. La sensazione che emerge, in ogni sito e ad ogni parola, è l’attaccamento morboso e giustificabile di questi abitanti alla loro città. Andria è ricca di locali e di ritrovi turistici, ed è incredibile constatare quanti giovani siano assiepati davanti a questi luoghi ogni sera, fino a tarda notte. Ed i giovani sono coloro che riportano le parole di un tempo, i modi di dire, il dialetto, anche durante la visita guidata. La decadenza che incombe sulla pietra bianca, sulle balconate e le facciate delle chiese risuona nelle parole degli attori. “Una volta”, “un tempo”, ma adesso?
Il nostro viaggio teatrale ad Andria prosegue con delle vecchie conoscenze provenienti dalla Calabria: il primo incontro a Polistena, con la Residenza Teatrale Dracma, risale a novembre 2014. Ritroviamo l’ottimo attore Paolo Cutuli, con la sua CLITENNESTRA O DEL CRIMINE. Lo spettacolo viene allestito, ad Andria, nei sotterranei di un pub, tra le strette mura medievali e le panche di legno. Dopo averla osservata sul grande palcoscenico del teatro di Polistena, questa messinscena, che ha subito alcune modifiche, notevolmente positive, riesce ad ipnotizzare il pubblico anche ad Andria. L’utilizzo di una colonna sonora straordinaria, modificata in alcuni punti rispetto al progetto osservato l’anno scorso, così come alcune scene, ha perfezionato notevolmente ed ulteriormente lo spettacolo, nonostante avesse già dimostrato al pubblico le sue  grandi qualità, sin dalla prima visione calabrese. Purtroppo, però,  CLITENNESTRA, non rientra tra gli spettacoli finalisti, anche se, a nostro avviso, avrebbe meritato certamente di essere premiato, accanto agli effettivi vincitori.  Uno dei luoghi più eccentrici, utilizzati come location di questo Festival, è l’Accademia Total Look, luogo destinato a parrucchieri ed estetiste, la cui sala è costellata da tantissimi specchi. Veniamo invitati dalla Compagnia ContromanoTeatro di Molfetta. Riceviamo un semplice invito, così come altri colleghi, prima di arrivare ad Andria. Incuriositi dal coraggio e dall’intraprendenza di Elio Colasanto, tra mille peripezie riusciamo ad assistere anche a NELLA GIOIA E NEL DOLORE, testo vincitore del Premio Nazionale “Giovani Realtà del Teatro” edizione 2014, ma non in finale all’Apulia Fringe Festival. Formazione legata all’Accademia “Nico Pepe” di Udine, i due giovani attori ed autori,  Elio Colasanto e Alessia Garofalo, portano in scena un’enorme torta nuziale che diventa, così, palcoscenico su diversi livelli. Raccontano la storia di due sposini pugliesi alle prese con i preparativi del matrimonio, ma non solo. Il ricevimento diventa motivo di ulteriore stress, di interazione con il pubblico e soprattutto di ilarità nei confronti degli stessi spettatori. Il linguaggio non è dialettale ma fortemente imbevuto delle inflessioni della parlata di Molfetta. Ciò che ci colpisce è l’incastro di una piccola storia del passato all’interno del discorso principale. Ed è proprio quella piccola storia, di cui non sveliamo i particolari, che ci spinge a fermarci a lungo, dopo lo spettacolo, per un confronto con gli attori. Questo prodotto artistico nasce nell’intento di realizzare una messinscena collocata nelle piazze o in spazi alternativi: l’inserimento della storia secondaria, commovente ed emozionante, ne smorza le caratteristiche originarie. Il consiglio rivolto a questi giovani autori, con i quali il confronto è stato produttivo e piacevole, è quello di smorzare ancor di più i toni “cabarettistici” del racconto principale e di far emergere questa piccola storia, semplice e legata ad un “passato”, vicina a quella splendida tendenza della nuova drammaturgia del Sud di raccontare i ricordi e le memori attraverso la semplicità delle parole. Tra i sette finalisti troviamo delle soprese. La giornata conclusiva del 24 maggio si protrae con un tour de force teatrale, sin dalla mattina, alla presenza di alcuni membri della giuria, dopo la lunga votazione notturna. I finalisti, in precedenza stabiliti nel numero di cinque, diventano sette, poiché il voto degli spettatori viene sommato a quello della giuria. Le due produzioni torinesi, TI LASCIO PERCHÉ HO FINITO L’OSSITOCINA, di e con Giulia Pont, e CON LE TUE LABBRA SENZA DIRLO di e con Paolo Faroni, non ottengono risultati e premi finali. Il primo spettacolo, in effetti, si dimostra ancora scarno nei contenuti, costellati dai luoghi comuni caratterizzanti il discoro dell’ “abbandono”. La protagonista viene lasciata dal fidanzato ed il pubblico diventa il suo psicologo, concludendo con un discorso sulla scienza e sull’ossitocina, l’ormone che è causa degli sconvolgimenti emotivi di uomini e donne innamorati, o presunti tali. Lo spettacolo di Faroni, invece, ripercorre un viaggio attraverso l’immagine della donna e la poesia che la descrive, aggiungendo l’amore platonico ed un nonno muto che insegna al nipote a comprendere il mondo attraverso il silenzio. Nonostante l’idea di base sia molto interessante, il discorso si disperde nei meandri dei ricordi, delle parole, attraverso voli pindarici che sganciano l’attenzione dello spettatore dal discorso posto in luce all’inizio del racconto. Spendiamo, invece, alcune parole per lo spettacolo L’ALBERO. Nicola Conversano è davvero una rivelazione e la sua figura semplice, la sua persona sorridente, ci dimostrano quanto questo attore, anche fuori dal palcoscenico, ci possa trasmetta, attraverso i suoi occhi e le sue parole, la bellezza dei luoghi pugliesi e del ricordo. L’albero è famiglia, è storia, è ricordo, è radice solida. Il racconto di un giovane di Andria che vuole emigrare e che descrive la sua famiglia mentre fa l’autostop. Vorrebbe andare a Roma, come se questa città fosse un punto di riferimento ineludibile nella ricerca della fuga. Ciò che emerge profondamente è quanto la fuga sia sintomo di decadenza e nel raccontare il suo fuggire, il protagonista ci regala immagini e pensieri che invece non si dovrebbero mai dimenticare. Il racconto di chi vuole andare via è pretesto dell’eterno ritorno e si colora di immensa poesia, mentre lo spettatore viaggia per le terre pugliesi attraverso le belle e semplici parole di Conversano. In un tempo in cui tutto è cambiato, ma la lingua resta, quella andriese, anche i falchi, denominati con i nomi dei membri della famiglia, crollano a terra per l’impatto con le pale eoliche. Conversano è da rivedere, riascoltare e rivivere ancora e centinaia di volte.
Se parliamo di poesia non possiamo non citare LEMBOS. Stavolta ci asteniamo dalla drammaturgia e dal testo, perché, a volte, anche le immagini ed i movimenti riescono a comunicarci più del dovuto. Amalia Franco e Alberto Cacopardi, tra Taranto e il Veneto, portano in scena diversi linguaggi, dal teatro danza, alle maschere espressive e alle marionette. Poesia e suggestione, musica, ombre e chiaroscuri, costituiscono la corazza di questo spettacolo in cui un’unica performer rappresenta le tre età di una donna. Dalla vecchiaia alla nascita, al centro la figura di una donna adulta, di spalle, che altro non è che un fantoccio in abito bianco da cui emerge o dentro cui si nasconde la ballerina. Ventre materno e simbolo della nascita e della morte, il fantoccio “accoglie” il corpo nudo della donna in scena, che ne “ingurgita” le vesti, indossandole, o svestendosene. L’abito bianco è, dunque, vita. Le maschere utilizzate sono fortemente espressive, sembrano muovere gli occhi o sorridere e disperarsi grazie ai diversi tagli di luce. L’acqua e le barchette di carta diventano simbolo della vita stessa, del viaggio o dei sogni infranti, così come la barchetta di carta bruciata.
Standing ovation, invece, per lo spettacolo PADRONI DELLE NOSTRE VITE, che ha riscontrato un grande successo in tutta Italia. Protagonista è il calabrese Ture Magno che racconta la vera storia della famiglia Masciari. La denuncia portata in scena dagli autori, lo stesso Magno affiancato da Emilia Mangano, è violenta, soprattutto  perché rivolta allo Stato. L’imprenditore calabrese sceglie di ribellarsi alle richieste ed alle intimidazioni della ‘ndrangheta e lo Stato costringe la famiglia Masciari a girovagare per l’Italia intera, a vivere in luoghi senza nome, a vivere essi stessi senza un cognome. L’articolazione dello spettacolo è costruita attraverso la presenza virtuale di 10 attori, proiettati sulle pareti laterali e sul fondo del palcoscenico. L’attore, in carne ed ossa, interagisce perfettamente con le figure virtuali, dimostrando un’ottima coordinazione, vocale e gestuale, con gli attori in video. Ture Magno sostiente il ritmo, durante tutto lo spettacolo, non lasciando spazio al respiro, trasferendo sullo spettatore la stessa sensazione di asfissia che la famiglia prova e vive da anni. Monito, accusa, imprecazione, preghiera dolorosa, urlo. Un brivido percorre la schiena di tutti gli spettatori. Anche Napoli è presente alla finale dell’Apulia Fringe Festival grazie allo spettacolo SIGMUND&CARLO con Niko Mucci e Roberto Cardone. Autori lo stesso Mucci e Antonio Buonanno, per la regia ancora di Mucci. La storia del Novecento europeo si materializza attraverso due personaggi dai nomi emblematici, ossia Freud e Marx. La costruzione di stampo macchiettistico rivela una coppia attoriale di grande esperienza ed uno spettacolo che, come dimostrato più volte, è caratterizzato dall’osservazione partecipata del pubblico. Le immagini che si susseguono, attorno ad una panchina e ad un lampione, ricordano le vignette satiriche pubblicate sui giornali di inizio Novecento, così come la stessa caricaturalità rivolta a due nomi eminenti appare, ai giorni nostri, connotata da un’amara decadenza grottesca. Tutto ciò che ha rappresentato l’impatto con il Novcento, dalle trasformazioni culturali, economiche, fino alla guerra, ha davvero prodotto questi due personaggi, caratterizzati dalle comiche voglie sessuali e, quindi, simbolo delle origini dell’Europa contemporanea?
Concludiamo con LA COLLINA, NON AL DENARO, NON ALL’ AMORE NÉ AL CIELO,  produzione di Molfetta e spettacolo che si ispira all’opera letteraria “L’antologia di Spoon River” di E.L.Master e all’opera musicale di F. De Andrè “Non al denaro, non all’amore, né al cielo”. Protagonista, dunque, la musica e la drammaturgia, entrambe interpretate dal talentuoso Pantaleo Annese. La regia è dello stesso Annese e di Francesco Tammacco. In scena i musicisti Vito Vilardi, Vincenzo Mastropirro e Federcio Ancona ed una ballerina. Annese incarna “Il matto” di Drummer, mescolando  Master e De Andrè, in un difficile connubio che potrebbe a tratti delineare un discorso complesso e articolato ma il pubblico non si esime dal giudizio estremamente positivo sull’interpretazione del protagonista che canta e recita egregiamente. Distoglie l’attenzione, però, la presenza degli ottimi musicisti sul palcoscenico, che fanno da sfondo alle azioni di Annese e che avremmo forse preferito in altra posizione o sotto il palco, e la presenza della ballerina, a tratti  perfettamente funzionale nell’interazione con il protagonista, in altri momenti evidentemente superflua.
I risultati dell’Apulia Fringe Festival prevedono la premiazione di tre spettacoli: L’ALBERO che parteciperà alla rassegna START UP di Taranto e all’edizione 2016 del fringe Festival di Roma,  LEMBOS che parteciperà al Festival “ Città Spettacolo” di Benevento, PADRONI DELLE NOSTRE VITA che parterciperà al Festival “Castel dei Mondi #15” e alla rassegna dell’Officina degli Esordi di Bari a cura del Teatro Kismet. Ci asteniamo dal giudizio sugli  spettacoli  non visti durante questo  Festival  e che speriamo di vedere ed analizzare in altri contesti ed occasioni.
In conclusione, vogliamo spendere brevi ma dovute parole anche per l’organizzazione  PUGLIA OFF, presente durante il Festival nelle figure di Stefano Murciano e Grazia Lobascio, piacevoli compagni di questa avventura. Ed è proprio tra uno spettacolo e l’altro, tra una visita guidata, una passeggiata tra i vicoli di Andria  ed una cena, che i ragazzi di Puglia Off ci hanno parlato del loro progetto. Gruppo di giovani che intende fare “rete” e che vince, nel 2013,  il bando “Soft Economy – StartUp di Microimpresa Giovanile”  promosso dal comune di Bari, Assessorato alle Politiche Giovanili. L’idea è quella di monitorare e di creare, come già avviene, un database delle compagnie, degli operatori, festival ed organizzatori pugliesi che, aderendo a Puglia Off, entrano, attraverso il pagamento di un piccola quota annuale, all’interno di un progetto caratterizzato da sinergie. L’intento è quello di mettere in comunicazione tutti gli operatori del settore attivi in Puglia: questo permette di aderire a campagne di progettualità regionali ed europee, di conoscere la pubblicazione ed i i requisiti richiesti dai bandi del settore, di scoprire compagnie emergenti, di proporre spettacoli, di organizzare rassegne, il tutto a basso costo e attraverso la mediazione di PUGLIA OFF.
Questo, dunque, il senso che dovremmo dare a questi giovani Festival; pur con lacune e squilibri essi mettono in moto un circuito di progettualità, interazione e conoscenze che combatte fortemente la stasi teatrale dei nostri tempi. E di certo le idee, la volontà e l’eroismo non mancano.