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E’ sicuramente interessante, come tematiche affrontate e come strutturazione elettronica e visiva della rappresentazione dei quattro brevi lavori proposti al Centro culturale Zo di Catania, l’inedito progetto “Kthack”, a cura dell’associazione culturale Retablo, per il Festival I ART. Il progetto, in programma anche (il 9, 10, 11 e 12 Settembre) ai Cantieri della Zisa di Palermo, è incentrato su quattro spettacoli per drammaturgie virtuali legate dal linguaggio dell’inconscio, del mito, della decostruzione, distruzione e ricostruzione della realtà. “Kthack”, ideato da Retablo ad hoc per il Festival I-art, curato dall’attore, regista ed autore Turi Zinna

è sviluppato in collaborazione con i registi Turi Zinna, Maria Arena, Federico Magnano San Lio e Maria Piera Regoli, si compone di 4 lavori: “Tifeo”, “De cinere”,  “Soggiornando vicino” e “Non si vive nemmeno una volta”.

Il titolo del progetto “Kthack” mescola due concetti: Kατάvη, (Katane) l'antico nome di Catania e il termine Hack, un virtuosismo informatico adottato da un esperto, hacker, per forzare un programma o un dispositivo a comportamenti non previsti. La commistione tra Kατάvη (Katàne) e Hack è il fil rouge che lega tra loro i quattro spettacoli, ideati per drammaturgie virtuali in impianti scenici tridimensionali che, interagendo con i performer, danno corpo al vero e falso delle nostre percezioni e della nostra realtà.. Da una parte, quindi, il territorio etneo e la città che siede sulle sue falde, per nove volte distrutta e sepolta sotto la lava (il più grande monumento mondiale all'oblio, alla rimozione e alla continua rinascita dalle ceneri di una memoria dimenticata) e dall'altra parte il mondo delle nuove tecnologie e della ricerca di modi non standardizzati di fruirne l'esperienza. Il tema che li accomuna è il linguaggio non lineare dell'inconscio, la novità del progetto, delle quattro rappresentazioni è rappresentata dall’approccio plurale affidato allo sguardo visionario di diverse competenze artistiche.

Ma quale è stato l’approccio del pubblico ai quattro spettacoli, presentati in una forma, in una rappresentazione, “altra”, in cui il testo è parso protagonista, sorretto da un impianto elettronico, multimediale, fatto di suoni, immagini in continua sequenza? Sicuramente lo spettatore tradizionale, abituato alla scrittura, al testo rituale, alla scenografia con quinte, fondali, boccascena e con personaggi ben delineati che entrano ed escono dalla scena, è rimasto disorientato, ma quello che bisogna considerare è che il progetto di Retablo mirava a tutt’altro, ad un apparato scenico sensibile, digitale, in cui le azioni performative fisiche, vocali, musicali, una volta processate da un computer, generassero esiti sia virtuali che materiali. Un'esperienza che nella vita quotidiana di ognuno e ormai del tutto consueta, ma che trova estrema difficoltà ad essere tradotta in drammaturgia.
Possiamo affermare che la sfida del progetto “Kthack” è avveniristica, con la costruzione di un impianto scenico dentro cui sono immersi i performer e a sua volta l'estensione "aumentata" del loro corpo/voce e la composizione di un percorso drammatico connaturale a questa nuova forma di edificio teatrale. La scrittura è, per forza di cose, pensata attraverso dei software e utilizzando kinect e altri controller audio video, grazie alla professionalità di Luca Pulvirenti e Mammasonica che nei quattro lavori si sono occupati di Stage design, interactive video design, mentre hanno curato i suoni Giancarlo Trimarchi e Fabio Grasso. Oltre ai quattro registi Turi Zinna, Maria Arena, Federico Magnano San Lio e Maria Piera Regoli, che hanno dato la loro impronta ai quattro lavori, autentico protagonista, che si è ben disimpegnato nell’apparato altamente tecnologico, visino, d’effetti sonori strabilianti, è l’applaudito Turi Zinna, abile nei movimenti e nella costruzione dei personaggi ai quali ha dato vita, contribuendo in modo decisivo al successo del progetto di Retablo. Hanno poi partecipato anche i performer Daniela Orlando, Maria Piera Regoli, i musicisti Fabio Grasso, Giancarlo Trimarchi, Lucilla Scalia, Salvo Pappalardo per le scene ed Aldo Ciulla per luci e direzione di palcoscenico.

Ricordiamo che il progetto Kthack fa parte del Festival I ART, il grande contenitore di eventi multidisciplinari che fa parte dell’omonimo progetto comunitario, capofila il Comune di Catania, ideato e diretto da I World.

Nel primo spettacolo “ΤΥΦῶΝ – TIFEO” (il tradimento dell’orecchio) il solo Turi Zinna racconta le vicissitudini di Tifeo, il mostro dalle cento teste di belve feroci, con duecento braccia e duecento gambe fatte di serpenti aggrovigliati che Zeus ha pensato bene di seppellire vivo sotto la Sicilia, con la testa schiacciata sotto il vulcano. E' imprigionato, fuori dal campo visivo, dalla percezione della coscienza ed è il creatore delle macerie che lo celano alla consapevolezza degli uomini. Nella costruzione della breve pièce (circa 40’) Tifeo è un disadattato, trattato psichiatricamente dal dottor Cadmo che vuole normalizzare la bestia. E' considerato un errore ed è incantato dalla musica, ma il suo tallone d'Achille è l'udito, senso prioritario di una forma mentale precedente, rettiliana. La drammaturgia e la regia di Zinna sono incentrate nel mondo interiore del mostro e la sua tragedia si consuma nel tradimento dell'orecchio.

Il secondo lavoro “De cinere”, è una favola contemporanea sul mito della fenice, una drammaturgia di Maria Arena e Daniela Orlando, con Turi Zinna, Daniela Orlando, Lucilla Scalia (arpa), le musiche sono di M. Stadler, A. R. Ortiz, la regia è di Maria Arena. Phoenix è i nome del favoloso uccello che ogni 500 anni vola a compiere il suo destino, intona il suo ultimo meraviglioso canto e costruisce il suo nido per ardere e rinasce dalle sue stesse ceneri. Nella città etnea è nota l’iscrizione sovrastante la porta del ‘Fortino’: “Melior De Cinere Surgo”. L’iscrizione è anche emblema di Catania come città ai piedi del vulcano, più volte incenerita e poi rinata nello stesso luogo. Catania quindi come luogo in cui il ciclo di morte e rinascita fa parte del DNA della gente.  Si è immaginata la terra come una landa desolata, un luogo oscuro dominato da un potere insaziabile che veste i panni del giusto, luogo dove il brutto è bello e le cose buone risultano sbagliate, luogo tragico che ricorda la terra descritta nel Macbeth. Qui Phoenix è smarrita, ha dimenticato il suo compito, il ciclo di morte e rinascita è interrotto, bloccato dal prevalere di un potere che si rigenera dalla sua stessa corruzione.

Con la regia di Federico Magnano San Lio e l’interpretazione sentita, viscerale, di Turi Zinna, "Soggiornando vicino", liberamente ispirato all'omonimo racconto di Salvatore Salemi e da un’idea di Carmelo Failla, racconta una figura leggendaria e al tempo stesso semisconosciuta del novecento letterario catanese, Turi Salemi.
Salemi, scomparso  il 7 gennaio del 1992, alla soglia dei 60 anni, era poeta, jazzista della scrittura che non ha quasi lasciato tracce di sé. Un compositore di parole che non si curava di conservare nulla del suo lavoro. scriveva su supporti improvvisati, tovaglioli, sottobicchieri della birra, nel block notes di un amico dentista, quello che viene usato per le prescrizioni mediche, di getto, senza nemmeno una cancellatura, senza correggere nulla. E regalava la sua arte persino a gente che aveva appena conosciuto. prestava le sue poesie e si dimenticava di chiederle indietro. Spesso le perdeva o le bruciava. Un talento assoluto che inventava ciò che non era stato mai detto e lo inventava nel momento stesso in cui lo diceva. Era un convinto assertore che l’atto poetico fosse un dono. La sua opera è rimasta disseminata, sparpagliata, nascosta, perduta nel miscuglio informe delle stratificazioni della memoria della città. La sua vita fu un'altalena di fasi depressive e guarigioni, di ricoveri in manicomio (dove gli vennero praticati anche gli elettroshock) e di periodi relativamente tranquilli. Turi Salemi morì come aveva vissuto, da barbone, diseredato, in preda a una lucida follia che gli rovinò l'esistenza ma che regalò alla sua città versi sublimi quanto sconosciuti, un catanese dimenticato e non riconosciuto, simbolo perfetto dell'impermanenza etnea.
Zinna ed il regista Magnano San Lio costruiscono un breve, ma efficace ritratto di Turi Salemi, attraverso la sua allucinata esistenza e le sue esperienza di vita che si trasmutano in un foglio di cartasciuga sul quale si imprime il ritratto, l’immagine della sua amata.

Nell’ultima pièce del progetto, “Non si vive nemmeno una volta” di Maria Piera Regoli e Turi Zinna, con Maria Piera Regoli, Cinzia Finocchiaro, Irene Tetto e la regia di Maria Piera Regoli, protagonista è Demetra, madre in coma vigile, che ha rimosso il trauma del rapimento di Ade del frutto del suo ventre. La realtà del presente ha fagocitato e inghiottito nel buio la realtà vissuta. Nella performance della regista Maria Piera Regoli la donna ripartorisce in serie nuove divine fanciulle, procede per inconsapevolezze successive, conserva il trauma di ciò che è stato, ma lo cela alla coscienza di ciò che genera. Una donna è in coma a causa di un incidente. consapevole della propria condizione clinica, si percepisce paralizzata e si osserva essere priva di attività elettrica cerebrale. Vede suo figlio adolescente prendersi cura di lei. Affiorano nella sua mente, espansa nell'installazione scenica, episodi della sua nascita, che hanno formato la sua visione del mondo. Finché a un certo punto scopre che ciò che ha creduto di vivere altro non è che una realtà sostitutiva tutta interiore che la sua mente ha prodotto per un meccanismo di difesa. Non è lei la vittima del disgraziato infortunio, ma suo figlio, che lei ha voluto continuare a immaginare fosse vivo e che invece, è morto dopo un lungo tempo passato in stato vegetativo. Nella pièce si concretizza un'allegoria drammatica. Un tentativo di fissare iconicamente la rimozione quale natura essenziale del territorio etneo. Una Demetra madre in coma vigile che ha rimosso il trauma del rapimento di Ade, del frutto del suo ventre. La confusione di realtà generata dall'oblio. La realtà del presente che ha fagocitato e inghiottito nel buio la realtà vissuta, un senso di negazione della storia. Catania procede per inconsapevolezze successive, si reinventa in nuove, continue nascite, ma ogni nascita è strozzata dal legame ombelicale con se stessa: madre e figlia nello stesso corpo. Demetra e Kore. Partenogenesi spontanea dalla propria origine ancestrale.