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Ippolito Chiarello ha mantenuto la promessa fatta, non solo durante il Festival “Primavera dei Teatri”, a Castrovillari, a maggio scorso, ma anche durante i veloci incontri in giro per l’Italia, non ultimo quello settembrino a Taranto, durante STARTUP Festival. Insomma, il barbone teatrale è tornato a Napoli: dopo il successo di PSYCHO KILLER, durante la scorsa stagione, ritorna ancora una volta al NEST, il teatro della periferia est napoletana. Alla vigilia della presentazione della ricchissima stagione 2015/2016 del teatro di S. Giovanni a Teduccio, il 18 ottobre Chiarello posiziona il suo banchetto da barbonaggio nella piazzetta davanti al teatro. Comincia, così, la sua performance

ed il racconto della sua esperienza che, al calar del sole, si trasferisce dall’esterno all’interno del teatro, dove è proiettato il film-diario OGNI VOLTA CHE PARLO CON ME. Ma cominciamo dall’inizio, per raccontare ai lettori e agli spettatori, fulcro fondamentale della poetica di Chiarello, la storia di un leccese dal respiro europeo. Conosciuto, per caso, tre anni fa, sul piazzale antistante al Teatro Tatà di Taranto, osservato con curiosità e circospezione, l’impatto con il barbone che attira il pubblico di un Festival, urlando i suoi pensieri e facendosi pagare i suoi pezzi, suscitava riflessioni e numerosi dubbi. Di nuovo in scena, l’anno scorso, ancora una volta a Taranto, con PSYCHO KILLER, la follia esasperata di questo attore, e dei suoi racconti, scatenava il pubblico in risate e applausi, spingendo la critica alla riflessione. Quest’anno cerchiamo di conoscere a fondo il lavoro di Chiarello che sembra aver necessità di raccontare, come se il suo percorso fosse arrivato ad una svolta. Dopo dieci anni trascorsi all’interno dei Cantieri Koreja di Lecce, nel 2004 Ippolito crea NASCA TEATRI DI TERRA, luogo e progetto artistico leccese, con il quale intraprende un percorso individuale specifico, producendo e formando artisticamente, all’interno del territorio pugliese. Il debutto dello spettacolo FANCULO PENSIERO STANZA 510 è datato 17 luglio 2008, durante il Festival Castel dei Mondi, ma, successivamente, il prodotto sembra non decollare. Nel corso degli anni Chiarello mette in pratica il suo pensiero: coinvolgere il pubblico al di là della struttura fisica “teatro”. A mali estremi, estremi rimedi, si direbbe, ma, in effetti, la scelta è vincente: 6000 euro raccolti, attraverso donazioni volontarie, o attraverso il pagamento dei pezzi recitati e riportati sul listino distribuito agli spettatori, ma anche grazie alle donazioni dei GAS, gruppi di acquisto solidale. 180 città e luoghi in tutta Italia, nelle cui piazze o spazi Chiarello ha piazzato il suo banchetto, distribuito il suo listino e acceso il piccolo megafono. Dall’Italia all’Europa il salto è breve, fino al lungometraggio, dal titolo OGNI VOLTA CHE PARLO CON ME, diretto da Matteo Greco, nel 2014. Bisogna, però, distinguere tra lo spettacolo vero e proprio, o meglio la performance di barbonaggio teatrale, a metà tra l’artista di strada e il cunto antico, e il film vero e proprio. I punti di vista sono completamente diversi: se l’allestimento teatrale è specificatamente aperto e rivolto al pubblico, il film è l’immagine di una riflessione personale, attraverso la pura introspezione.
Ippolito Chiarello parla di esperimento sull’anima e di atto d’amore verso il pubblico, evidenziando  gli elementi principali del progetto “barbonaggio” che, nato, dunque, per esigenza e un po’ per caso, diventa oggi movimento vero e proprio. Ricordiamo, infatti, che tra il 30 e il 31 ottobre Lecce diventerà sede di incontro di numerosi barboni teatrali, identificando, ormai, a tutti gli effetti, un genere teatrale specifico. Di cosa si tratta, dunque? Di un palchetto, che sia una sedia, una cassetta di legno, uno scatolo, su cui si erge il portavoce, ossia il barbone. Dopo aver distribuito un listino su cui sono riportati i titoli dei pezzi da recitare e il loro costo, che si aggira da un minimo di due euro ad un massimo di quindici, gli spettatori propongono il titolo e versano il denaro nelle tasche dell’impermeabile indossato dall’attore. La scelta di smembrare un testo unico, quello originario debuttato nel 2008, in piccoli pezzi monologati, diventa scelta commerciale, ma persegue anche una poetica specifica: il pubblico è incuriosito, attirato, e soprattutto, invogliato ad ascoltare e a ricostruire nella propria mente il senso di tutto il discorso, ricucendo, attraverso un filo conduttore, quelle parti che sono state volontariamente divise. Ironia e profonda amarezza pervadono i racconti, tratti dal libro di Maksim Cristan e rielaborati da Michele Santeramo, sono caratterizzati da un testo scarno, balbuziente, metaforicamente ipocondriaco, che rivela, cioè, la diffusa malattia di vivere che pervade ognuno di noi. Non si approfondiscono, in effetti, concetti complessi, a volte cadendo volutamente in luoghi comuni, ma i monologhi appaiono, invece, come riflessioni e analisi della realtà attraverso la mente del protagonista, un ipotetico manager che, stanco della routine, abbandona tutto. L’impatto con il pubblico è  naturalmente eterogeneo, poiché dipende dal luogo e dalla situazione. Nel caso di un periferia napoletana, come quella di S. Giovanni a Teduccio, i cui giovani sono costante oggetto di attenzione da parte del NEST che opera un’azione culturale e soprattutto di aggregazione sociale, la diffidenza e la curiosità caratterizzano le voci dei ragazzi del quartiere, davanti ad un uomo che sale su una sedia e comincia a richiamare l’attenzione con un megafono. La descrizione della reazione del pubblico e il suo rapporto intenso ed indispensabile con il barbone teatrale sembra mancare nel racconto filmico, che, come afferma il titolo, appare, piuttosto, come una conversazione personale. I pensieri e la riflessione con il proprio “Io” sembrano affiorare soprattutto quando ci si ritrova in luoghi sconosciuti, in città straniere in cui la comunicazione linguistica è più complessa. I luoghi vissuti e attraversati da Ippolito Chiarello – nel caso del film sono soprattutto le città europee – sembrano ripercorrere l’itinerario di una missione, personale più che artistica. Le immagini del lungometraggio spingono lo spettatore ad osservare e a ricordare memorie personali, unendo il microcosmo intimo al necessario contatto con il pubblico. Il barbonaggio teatrale non sembra elemosinare soldi, piuttosto “ascolto”:  l’attore urla il suo disagio, o almeno tenta di farlo, e cerca di rallentare il viaggio frenetico della vita quotidiana, intraprendendone uno simbolico, senza meta ma con uno scopo. Urlare il proprio pensiero ed elemosinare attenzione sembra essere il senso profondo di tutto questo, attraverso un meccanismo artistico, e sicuramente anche economico, che attira il pubblico, anche quello straniero. L’alternanza tra microcosmo e macrocosmo è sempre presente, tra pensiero intimo e reazione del pubblico, attraverso onde di contatto che legano costantemente chi parla a chi ascolta, per poi richiudersi in un luogo segreto della propria anima.  (

foto di Francesca D’Ippolito

FANCULO PENSIERO STANZA 510 + OGNI VOLTA CHE PARLO CON ME
NEST NAPOLI EST TEATRO
18 ottobre 2015
Fanculo Pensiero Stanza 510
Con Ippolito Chiarello
Testo Michele Santeramo
Regia Simona Gonella

Ogni volta che parlo con me
Lungometraggio di Ippolito Chiarello e Matteo Greco
Regia Matteo Greco