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Attraversare il quartiere Forcella, quasi ogni giorno, lungo la strada che congiunge Corso Umberto, incrociando il teatro Trianon, e che sbuca a via Duomo e si trasforma, poi, in Spaccanapoli, è un vero e proprio viaggio nel ventre della Napoli narrata da Matilde Serao. Se poi, nel corso di questo cammino rumoroso, colorato, ricco di voci, suoni ed odori, scorgi per caso Marina Rippa ed alcune delle donne conosciute a Taranto, durante StArtup Festival 2015, a settembre scorso, allora è davvero una buona giornata. Non abbiamo ancora parlato dello spettacolo PE’ DEVOZIONE, frutto del primo laboratorio svoltosi a Forcella con le donne del quartiere, prodotto artistico che,

casualmente, abbiamo visto in Puglia e non nella città dove è nato. Ma anche a Taranto l’esperienza è stata caratterizzata dalla magia del racconto, da cui scaturiscono commozione e divertimento. Il 19 ottobre è stato presentato il programma delle attività 2015-2016 che si svolgeranno nello Spazio Comunale “Piazza Forcella” a Napoli, luogo ubicato in via Vicaria Vecchia, al centro di Forcella. Proprio lì, nella strada appena descritta, lo spazio ospita diverse attività artistiche e culturali, compreso il laboratorio teatrale “f.pl. femminile plurale” condotto da Marina Rippa ed Alessandra Asuni, oltre alla Biblioteca “ A porte aperte Annalisa Durante”. Anche quest’anno le donne di Forcella partecipano al laboratorio teatrale di Rippa/Asuni, lavorando al progetto QUEI SOGNI NEL CASSETTO, che debutterà a dicembre prossimo. Nel 2016, invece, partirà il laboratorio dal titolo provvisorio DI CERTE DONNE. Dei sogni nel cassetto abbiamo parlato a lungo, dopo lo spettacolo, con queste signore napoletane che, a Taranto, hanno davvero colpito la platea, scatenando un applauso interminabile. La straordinarietà del rapporto tra la vita reale ed il palcoscenico è così sottile da trascinarci realmente e simbolicamente in scena, per ascoltare storie rigorosamente reali. Il senso profondo e la base solida dello spettacolo sono fortemente legati al racconto che,  partendo dalle vicende quotidiane, si mescola con il misticismo insito nella cultura popolare napoletana, unendo, inevitabilmente e straordinariamente, il sacro al profano. Si raccontano, infatti, le storie dei miracoli o dei voti rivolti ai Santi o alle Madonne “preferite”, per ottenere salute, fortuna e vincite al lotto. La devozione è legata anche alla ripetizione sacro-profana di alcuni specifici gesti quotidiani, innocue ossessioni che caratterizzano scrupolosamente la gestualità delle donne napoletane, affinché la continua attenzione possa creare la buona sorte. Un’attenzione meticolosa al Fato, che sembra entità divina ma fortemente pericolosa se non rispettata. L’allestimento osservato a Taranto, caratterizzato da una lingua naturalmente musicale, come è appunto il napoletano degli abitanti nativi del centro storico, così fluente da fondere in onde sonore il flusso delle parole, sceglie alcuni momenti ed alcuni oggetti che caratterizzano simbolicamente il gesto della devozione. Tutte le attrici – una ventina circa, di tutte le età e vestite di nero – giocano con la voce, con il racconto, con il corpo, e soprattutto con la gestualità, innata, naturale, registicamente viscerale. Ogni donna, a turno, racconta la propria storia, legata ad unico filo conduttore, la devozione appunto, ricreando in scena le edicole votive tipiche delle regioni del Sud, attraverso danze profane e invocazioni sacre, ornando di lucette il volto di una delle attrici. L’immagine di questo gruppo di donne, numeroso e quindi inconsueto sui palcoscenici contemporanei, oscilla continuamente tra il mondo pagano e quello religioso del Sud, tra l’immagine del coro greco, delle prefiche, delle donne dei “curtigghi” siciliani o dei bassi napoletani, viaggiando tra i teatrini di strada attraverso il Cunto e l’oralità, unendo le loro storie mediante il flusso inesauribile delle parole, che non si interrompe mai, anche quando scendono dal palcoscenico. Alcune di loro, infatti, a spettacolo concluso, si avvicinano curiose e ci chiedono
“vi è piaciuto?” e, stimolate dalle domande, ci spiegano che le storie narrate sono assolutamente vere, dalla vincita al lotto attraverso i numeri della tomba di un attore che interpretava Pulcinella, alla donna che gira per le chiese ed i Santuari, pulendo amorevolmente le statue. Per queste donne l’emozione maggiore è viaggiare, uscire fuori da Forcella, raccontando sul palcoscenico  la loro vita, la loro quotidianità, ciò che per loro è necessariamente normale ed indispensabile. Bisogna osservare con grande serietà il lavoro  alla base di questo laboratorio, poiché è testimonianza di una particolare evoluzione sociale e culturale, e soprattutto porta alla luce un discorso antropologico importante. In scena le donne parlano e discutono davanti ad una statua umana: una delle attrici, a turno, diventa la statua della Santa o della Madonna, della quale si occupano quotidianamente, pulendola o portandole fiori. Piccoli scampoli di stoffa di raso vengono applicati al corpo dell’attrice. La vestizione, la svestizione, il travestimento, i colori tipici degli abiti delle Sante, sono rituali che rivivono simbolicamente attraverso un discorso narrativo costituito da tasselli, parole, elementi cuciti insieme e mai frammentari. Le rose offerte alle statue sono ancora scampoli di raso annodati abilmente dalle donne sedute in circolo, sul palcoscenico, le quali continuano inesorabilmente a raccontare. Ma la devozione partenopea non può dimenticare le anime penitenti, ed ecco riprodotta l’iconografia votiva popolare più diffusa, cioè le anime, a mezzo busto, che emergono dalle fiamme del Purgatorio: una nuvola di tulle ed i busti delle donne che continuano a raccontare, discutendo sulla morte e sul peccato. Il lavoro con le donne di Forcella non riporta in scena la banale commedia popolare, la battuta o il botta e risposta che tende ad ottenere la facile risata e l’attenzione da parte di un pubblico eterogeno. Il prodotto che si osserva in scena rielabora artisticamente un forte potenziale naturale, insito nella culturale popolare partenopea che sembra essere ibrida ma che in realtà è ricchissima di contenuti e di rituali sconosciuti al resto delle regioni italiane.  In attesa di scoprire quali siano i sogni nel cassetto di queste donne, il plauso va a tutto il gruppo di lavoro, a Marina Rippa ed Alessandra Asuni, ma in particolare alla più anziana di queste donne, Toti Carcatella, ex insegnante dal fascino attoriale, perfettamente bilingue, dall’ottima dizione italiana e dalla colorita parlata napoletana.
(foto da www.iteatridelsacro.it)

PE’ DEVOZIONE
LITURGIE SACRE E PROFANE NELLA VITA DI TUTTI I GIORNI
Teatro Tatà Taranto
StArt Up Taranto 2015
25 settembre 2015
Laboratorio teatrale di f.pl. femminile plurale con le donne a Forcella ( Na)
a cura di Marina Rippa e Alessandra Asuni
con Amelia Patierno, Anna Liguori, Anna Marigliano, Anna Patierno, Antonella Esposito, Flora Faliti, Flora Quarto, Gianna Mosca, Giorgia Dell’Aversano, Manuela Della Corte, Melina De Luca, Patrizia Ricco, Rosa Lima, Rosa Tarantino, Rosalba Fiorentino, Susy Cerasuolo, Toti Carcatella
in collaborazione con Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli
con il sostegno e il contributo ConfCommercio Provincia di Napoli, FILMaP, Le Nuvole, gli amici e le amiche di Marisa Savoia
 vincitore bando “I Teatri del Sacro” edizione 2014/2015