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Un uomo e una donna a spasso nel tempo. Come i gamberi camminano all’indietro, si parte dal 2065 e si arriva fino al primo gennaio 2002, anno in cui l’euro viene introdotto come denaro contante; si cammina come i gamberi per riflettere sulle vicende della Comunità Europea. Alberto e Silvia sono costretti a nascondersi perché ricercati dalle autorità: si pensa siano tra i principali responsabili della fine dell’Europa Unita. A seguito del disgregamento dell’Unione Europea, i due protagonisti discutono come sia successo, quali siano state le cause, i campanelli d’allarme, i segnali sottovalutati. Si scoprirà che uno dei due è davvero tra i responsabili principali della

caduta dell’Unione. Questa rivelazione avrà conseguenze inevitabili nella relazione tra i due che finalmente potranno dirsi la verità. Michele Santeramo ( Scrittore e drammaturgo, finalista al Premio Riccione per il Teatro 2009 con “Sequestro all’italiana” Vince il Premio Riccione per il Teatro 2011 con il testo Il Guaritore e nel 2014 il Premio Hystrio alla Drammaturgia per tutta la sua opera) parte da un’idea originale e divertente: pensare che singoli individui possano definire le sorti di un’intera comunità , soprattutto in tempi in cui le possibilità individuali, sia pure nell’illusione delle comunità virtuali, si annullano sempre più; il gioco teatrale  comincia con buone premesse. Il testo di Michele Santeramo bravo nel creare dialoghi serrati, graffianti (i due protagonisti chiusi in casa, cercano di darsi reciproche colpe sugli avvenimenti, cercano di inventare una versione credibile per discolparsi) appare tuttavia, in alcuni momenti, debole nella struttura drammaturgica. Quando parlo di struttura drammaturgica penso a un modello organizzato di relazioni sceniche tra i differenti elementi che permettano di raccontare una storia, non solo attraverso la visione di una trama in scene ma anche attraverso i nessi causali e funzionali che legano la trama: personaggi, linguaggio visivo e sonoro e che consentono il passaggio da una realtà quotidiana a una realtà artistica trascendente. L’ambito scenico è anche il luogo della dimensione soprannaturale dove avviene la rottura delle regole e delle leggi del tempo dello spazio e della casualità dei fatti narrati. Ma questa trascendenza non si avverte nella parola scenica. E’ un testo che andrebbe ampliato e sviluppato nelle sue molteplici possibilità, nelle sue ulteriori aperture. Il tema è sicuramente arduo: difficile affrontare con leggerezza le problematiche europee oggi, nel disordine mondiale del super capitalismo globale in cui il vago modello sociale europeo, arranca continuamente. Questioni cruciali e controverse, su cui riflettono economisti e politici ma anche frange estreme che invocano continuamente l’uscita dall’euro, la fine dell’Europa: l’occupazione, la politica industriale, la difesa dello stato sociale, una società meno disuguale, i diritti degli immigrati dei profughi, il dolore per le vite disperse. Prima di cedere alla disperazione, bisogna pur credere di poter fare qualcosa... Sembra suggerirci il regista Michele Sinisi, bravo nel ruolo del protagonista affiancato da una convincente Elisa Benedetta Marinoni. Sulla scena in primo piano incombe un’immagine gigante, l’identikit del protagonista che diventa, di volta in volta, identikit della crisi: un‘immagine neutra in bianco e nero che affida a pochi elementi, barba, baffi, capelli, i cambiamenti di tempo, in mezzo al caos che regna sovrano. Un caos di oggetti inutili, oggetti che si trasformano in modo disorganico perché la società stessa è diventata inorganica, comprensibile molto di più attraverso le performance che si svolgono, piuttosto che attraverso il senso delle azioni. La regia, attraverso una serie caotica e infinita di oggetti, rappresenta il senso della disgregazione contemporanea, un lampadario che sale e scende come il pil (a seconda dei momenti storici), bauli, pannelli, trasparenti disgregati e disgreganti, di cui non si avverte più la necessità che potrebbero essere tranquillamente abbandonati. Abbandonati perché non necessari. La bellezza riposa spesso nel necessario.

Milano Teatro Filodrammatici 30 Ottobre 2015