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C’è tanta poesia, tanto amore ed attaccamento ad una Sicilia contraddittoria, amara, dai paesaggi straordinari e da un linguaggio dai mille significati, nel testo e nello spettacolo “Alla fine del tempo dell'ulivo” dell’indimenticato Piero Sammataro, liberamente ispirato a “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov e messo in scena al Piccolo Teatro di Catania con l’azzeccato progetto scenico e la regia di Saro Minardi e prodotto dall’associazione Città Teatro.  Si tratta di una interessantissima produzione, sia come messinscena, una autentica poesia teatrale, che come omaggio ad un maestro come Piero Sammataro, attore e regista con 50 anni di teatro sulle spalle, che il 21 novembre

di due anni fa, proprio mentre lavorava a Catania, in una sala del “Brancati”, alla realizzazione di  “Alla fine del tempo dell’ulivo”, con i suoi amici-attori, lasciò in punta di piedi il suo amato palcoscenico e la vita, tra lo stupore ed il dolore di quanti lo ammiravano, lo amavano, lo seguivano. Ebbene proprio quel gruppo di lavoro,  che ormai si è definito “il gruppo dell’Ulivo”, a cominciare dal regista Saro Minardi, ha deciso di voler onorare la memoria del maestro e con amore e devota ammirazione, ha messo in scena la pièce dove si può avvertire la sensibilità, la sapienza artistica di Sammataro, il gusto e la delicatezza di un uomo, di un artista, dalle mille sfaccettature, ormai cosa rara in un contesto teatrale e culturale attuale davvero povero e decadente.
La messinscena, di circa 90’, senza intervallo, diretta con mano felice da Saro Minardi, si avvale di un semplice, ma estremamente comunicativo, impianto scenografico che, supportato dalle immagini e le proiezioni  di Farolight - che fanno da delicato sfondo alla vicenda narrata - contestualizza, sottolinea, in modo poetico, delicato, la decadenza sociale degli aristocratici siciliani in contrapposizione all’ascesa della ricca borghesia rurale, il mutare degli eventi in una aristocratica casa, in un nucleo familiare e di affetti ormai in declino. Il tutto attorno ad un amatissimo uliveto. Eleganti i costumi di Rosy Bellomia, luci e la fonica di Simone Raimondo ed estremamente calda e commossa la voce di Carmelita Celi che canta il brano “A colonia di la genti dispirata”,  scritto dallo stesso autore Piero Sammataro,  musicato da Giovanni Ferrauto e che fa da colonna sonora all’intero lavoro.
“Alla fine del tempo dell’ulivo” è indubbiamente, influenzato, segnato da “Il Giardino dei ciliegi” di Cechov che, ricordiamo, nella storica e rappresentativa edizione di Strehler del 1974 ha visto Sammataro nei panni dell’intrigante Trofimov a fianco di Valentina Cortese e Gianni Santuccio. La pièce comunque ha preso le mosse da una produzione di Piero Sammataro nata prima e dal titolo “Il racconto dell’ulivo”, ambientata nella Sicilia del primo dopoguerra. Nello spettacolo si assiste alla trasformazione delle classi sociali, al passaggio del dominio economico dalla aristocrazia nelle mani dell’emergente ricca borghesia contadina, con la pigrizia, l’impotenza degli aristocratici e l’ambizione e la voglia di fare della nuova borghesia. In una struttura narrativa poetica, quasi sussurrata, si rappresenta quindi la Sicilia e il suo mondo culturale, con personaggi ben disegnati e caratterizzati ed espressione viva, pulsante, di quel mondo, che utilizzano un linguaggio straordinariamente ricco di sfumature e potenzialità.  All’ombra del grande ed amato ulivo, in un salotto nobile siciliano, il pubblico segue con attenzione il destino di una famiglia aristocratica che non si rende conto della drammaticità della situazione in cui si trova. Ed alla fine la famiglia, che negli anni ha sperperato il proprio capitale, è costretta ad andare via, a lasciare la propria casa, perdendo anche l’amatissimo uliveto in un’asta pubblica. Tutti i personaggi in scena sono collegati da un filo conduttore e pur avendo le loro caratteristiche e diversità, esprimono a loro modo l’attaccamento, il rispetto per la propria terra.
In scena apprezzabile il personaggio della nobile decaduta, la signora Spera, interpretata da Maria Grazia Cavallaro, così come quello del fratello Federico, svagato ma ancora con l’aria da nobile, reso con signorilità da Saro Pizzuto o ancora l’autoritaria figlia adottiva di Spera, Viola, interpretata con fermezza da Carmela Silvia Sanfilippo o l’arrampicatore sociale Gregorio, reso con piglio deciso da Giuseppe Balsamo. Il cast annovera poi Silvia Corsaro Boccadifuoco nei panni della dolce Ania, figlia Spera, Daniele Sapio che disegna un Vanni, studente scapigliato e capellone, mentre efficaci e molto profondi  i personaggi del viandante, della serva Severina, del lacchè ed arrivista Sasà, del ragioniere Nato e del ferroviere Biffarella, resi con grande professionalità rispettivamente da Giovanni Calabretta, Amelia Martelli, Gabriele Arena, Enrico Manna e Nanni Battista.
Una nota particolare, infine, per l’interpretazione commovente di un delizioso Aldo Toscano che disegna in moto poeticamente straordinario il personaggio del vecchio domestico Cosimo, legatissimo al suo padrone Federico ed alla signora Spera che, quando entra  in scena all’improvviso, regala ilarità e commozione. Cosimo conclude lo spettacolo quando l’uliveto è in mano all’arrivista Gregorio e tutti sono andati via, verso il proprio destino: la signora Spera e Viola, con Sasà e Federico a Parigi, la cameriera Severina offre la sua mano al poetico ragioniere Nato, Vanni ed Ania continuano gli studi nella propria terra. Ecco che Cosimo, da solo e consapevole della sua prossima morte, guarda il cielo e riconosce nelle stelle i rami del suo maestoso ulivo, si rivede in lui, rassegnato ormai alla fine della sua vita, andata via inesorabilmente.
Spettacolo di notevole spessore drammaturgico e poetico e che si lascia apprezzare, per la delicatezza e l’amore per la Sicilia dell’autore, per la precisione nei detragli e per la sensibilità del regista e soprattutto per la professionalità di un cast all’altezza della situazione e che ha sentito addosso il testo, lo ha indossato come un abito a cui ti sei affezionato. Ed infatti alla fine, l’intero “gruppo dell’Ulivo” si commuove, per aver reso omaggio al proprio amico e maestro, raccogliendo i meritati applausi di un pubblico attento e che ha colto, in modo straordinario, i messaggi del testo e dell’autore.
Da sottolineare, infine, che nel foyer del Piccolo Teatro è presente una ricca e visitata mostra fotografica dedicata, così come lo spettacolo, a Piero Sammataro che documenta i momenti indimenticabili degli ultimi anni della sua importante e luminosa carriera artistica.

“Alla fine del tempo dell'ulivo”
di Piero Sammataro
Liberamente ispirato a Cechov
Progetto scenico e regia di Saro Minardi
Con Maria Grazia Cavallaro, Saro Pizzuto, Giuseppe Balsamo, Silvia Corsaro Boccadifuoco, Carmela Silvia Sanfilippo, Amelia Martelli, Gabriele Arena, Enrico Manna, Nanni Battista, Daniele Sapio, Aldo Toscano e Giovanni Calabretta.
Costumi di Rosy Bellomia
Luci e fonica di Simone Raimondo
Immagini digitali e proiezioni di Farolight
La canzone “A colonia di la genti dispirata”, musicata da Giovanni Ferrauto, è cantata da Carmelita Celi
Produzione Associazione Città Teatro- Stagione 2015/2016 Piccolo Teatro - Catania - 14, 21 e 22 Novembre 2015

Foto di Orietta Scardino

Piero Sammataro
Attore, regista, nato a Cremona nel 1938, Sammataro nel 1963 consegue il diploma all'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio D'Amico studiando con Rosanna Masi, Jone Morino, Annibale Ninchi, Carlo D'Angelo, Orazio Costa, Vittorio Gassman, ma soprattutto con Sergio Tofano. Intanto studia anche scherma con Nicolò Perno e danza con Attilia Radice. Ha partecipato ad oltre 250 produzioni sui palchi di molte città italiane, anche per gli Stabili di Roma e Catania e il Piccolo di Milano, dove ha lavorato per 17 anni Debutta nel 1965, come attor giovane, nell'edizione dei “Sei personaggi in cerca d'autore” di Luigi Pirandello, diretto da Giorgio De Lullo ed al fianco di Rossella Falk e Romolo Valli. Recita poi nelle “Tre sorelle” di Cechov e in Il confidente” di D. Fabbri. Nel 1966-‘67 lavora allo Stabile di Roma. Nel 1974 debutta al Piccolo Teatro di Milano, con “Il Giardino dei ciliegi” di Cechov per la regia di Giorgio Strehler. Resterà nella capitale lombarda fino al 1991. Nel 1976 ritorna all'Accademia nazionale d'arte drammatica 'Silvio D'amicò come insegnante. Fra gli altri spettacoli “Servo di scena” di Ronald Harvood per la regia di Gugliemo Ferro, coprotagonista con Turi Ferro al Teatro stabile di Catania (1995) e “Lorenzaccio” di De Musset al Teatro Olimpico di Vicenza diretto da Maurizio Scaparro (1997), dove interpreta il cardinale Cybo. Nel 2002 si trasferisce definitivamente a Catania dove, al Teatro del Canovaccio, fonda una sua scuola di recitazione, “La Bottega dei mastri artigiani”, lavorando come attore e regista. Nel 2011 mette in scena “Dagli all'untore” di cui è, oltre che interprete, anche regista. Sammataro si è spento a Catania il 21 novembre del 2013 mentre stava provando il suo lavoro “Alla fine del tempo dell'ulivo”, liberamente ispirato a Cechov.