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È un dramma, questo del catalano Josep Benet i Jornet al teatro Duse di Genova dal 20 al 24 gennaio, in cui si intrecciano una visione lucida delle anonime società contemporanee, quella dei condomini delle metropoli, con uno sguardo esistenziale e doloroso sulla intimità di vite trapassate e quasi uccise da un dolore irresolubile al limite della non confessabilità. Due donne, e non a caso donne perché le donne soprattutto, oggi e da sempre, sono l’inevitabile centro, lo specchio delle sofferenze che agitano le comunità liquefatte del nostro tempo, due donne che ballano costrette dal ritmo cieco dell’esistenza. Una è anziana, vedova, ed abita il grande vecchio appartamento della sua infanzia e della sua maturità, popolato ormai solo dai ricordi ma allietato, illuminato quasi, dalla collezione di fumetti in bella mostra cui manca solo un numero per

essere completata. Un appartamento deteriorato, prossimo al disarmo come la vita della sua abitatrice.
L’altra è giovane, assunta per farle da badante ma, lo si scopre man mano, anch’essa disperatamente sola e tormentata da un dolore acutissimo che non può guarire, quello della morte del figlio piccolo durante un litigio con il suo violento compagno.
Abbastanza simili per capirsi immediatamente, ma troppo simili per non scontrarsi duramente durante le poche ore che condividono in quell’appartamento, in una sorta di guerra di posizione che ha come unico fine scoprire e dunque condividere l’una il dolore dell’altra.
È un confronto/scontro da cui emergono i segni della violenza subita da entrambe, in forme e modalità diverse, una violenza maschile che si cela nella fuga e nell’abbandono, ma su cui si staglia limpidamente l’amore disperato che queste due donne continuano ad avere per la vita, un amore tanto forte e disperato per la vita da indurle ad abbandonarla, la vita, insieme.
Infatti è proprio chi più profondamente ama la vita, tanto da crearla, che più spesso è dalla vita esclusa e rifiutata. L’amore è spesso così scomodo da essere dunque destinato e confinato nella solitudine.
È un testo bello e ricco, interamente sviluppato sul dialogo fitto delle due protagoniste che talora lascia spazio ad un silenzio altrettanto rumoroso e significativo, fino all’epilogo atteso quando le due donne, di cui mai conosceremo il nome, ballano davvero e guidano finalmente la danza della vita verso la morte che le libera. Il testo di un drammaturgo che, quasi paradossalmente, mostra una straordinaria empatia con la sensibilità femminile, e che così riesce a narrarci della violenza contro le donne, attraverso le donne, senza proclami ma con un occhio attento da una parte alla società, dall’altra ai meandri dell’animo umano.
In scena le bravissime Maria Paiato e Arianna Scommegna, sapienti nell’assecondare mimica e movimenti senza perdere quel distacco che ci accompagna al senso profondo del testo. La regia è di Veronica Cruciani brava nell’amplificare nella scrittura scenica, mai invadente, la forza del testo. Le scene efficaci ed i costumi sono di Barbara Bessi, le musiche di Paolo Coletta e le luci di Gianni Staropoli.
Una produzione del Teatro Carcano tra le compagnie ospiti dello stabile genovese, che ha ricevuto un caloroso saluto dal pubblico che affollava la prima.