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Con questa pièce, finora mai rappresentata in Italia che ha esordito ieri 11 gennaio e sarà in scena al Teatro della Tosse fino al prossimo 15 gennaio, la giovane compagnia N.I.M. (Neuroni in movimento) fondata da sei giovani diplomati alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova affronta la drammaturgia dell'inglese Dennis Kelly giovane anch'egli ma già noto ai principali palcoscenici europei. Per la regia di Matteo Alfonso e Tommaso Benvenuti, in scena Pier Luigi Pasino, Fiorenza Pieri e Vito Saccinto che  sono appunto i tre orfani del titolo, ma non soltanto per ragioni anagrafiche, come i due fratelli Helen e Liam, quanto e soprattutto quale segno e metafora di una condizione esistenziale di disgregazione che ormai, nella scrittura dura ed anche arrabbiata di Kelly, sembra riguardare loro ma non solo. In una scenografia semplice che continuamente tende a superare i suoi apparenti connotati di realtà o realismo, la drammaturgia si sviluppa infatti quasi come una domanda collettiva che nelle esistenze frantumate e tragiche dei tre protagonisti cerca disperatamente una risposta, o meglio un esito che ci coinvolga in qualche modo tutti. Danny ed Helen, giovani coniugi e genitori, stanno festeggiando a lume di candela una ricorrenza comune quando in questo loro microcosmo solitario e disperatamente assetato di tranquillità, irrompe Liam sporco di sangue mostrando ed insieme nascondendo una verità che sorella e cognato sospettano e temono. Ed è proprio la confusa ricerca di una spiegazione confortante della vicenda, il motore primo che conduce la drammaturgia al progressivo disvelamento di una verità terribile e mostruosa, ed insieme travolge nella complicità le deboli difese dei due coniugi. Liam, dal linguaggio giovanilistico insieme violento e limitato come di una limitata comprensione di sé, ha sequestrato e torturato un giovane di colore e trascina nel macabro rituale la sorella e, anche fisicamente il cognato, anch'egli forse un tempo vittima di analoga violenza. Così entrambi, sotto il debole schermo di un dovuto soccorso, sperimentano essi stessi la proiezione fuori di sé dei propri mostri. È con occhio insieme attento e disperante che il drammaturgo inglese viviseziona un istituto familiare che disgregandosi progressivamente nelle società contemporanee disgrega con sé identità sempre più fragili, rendendoci così “tutti” orfani. Da irraggiugibile luogo della solidarietà e della comunione, la famiglia diventa così il primo produttore di mostri, mostri esistenziali e psicologici, alimentandosi e salvaguardondosi in una continua attività proiettiva che nel diverso da sé individua continuamente nuovi nemici. Ma i mostri producono violenza e la violenza man mano uccide, almeno interiormente, anche chi la esercita. Liberato il giovane prigioniero ancora vivo (forse) ma ridotto al silenzio con il ricatto e la minaccia, le vite dei tre protagonisti sembrano ora ritrovarsi ad un bivio e ad una conseguente decisione. Helen caccia il fratello Liam, mentre Danny dichiara di non volere più un altro figlio da Helen, che, pure, prima contraria, si rende disponibile. Il senso di queste scelte rimane giustamente sospeso ed ambiguo in un mondo che sembra offrire solo rimpianti e nessuna risposta. È dunque un narrare quello di Dennis Kelly che va oltre i confini della sociologia per indagare i meandri di menti ed identità private di referenti e dunque abbandonate ad esistere, appunto orfane. Uno spettacolo intenso, talora rabbioso e inquietante, premiato da una platea piena e da intensi applausi. Un emcomio particolare và a questa compagnia di giovani che si dedica coraggiosamente alla drammaturgia contemporanea troppo spesso trascurata.