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Il cielo di Palestina è negli occhi di tutti noi, come quel vento che porta con sé gli odori dell’infanzia e del ricordo, sfiora il volto di tutti quelli che sono trasportati dallo stesso treno di prigionia, immaginario o reale, che conduce Fares. Si apre con questo spettacolo il 2016 teatrale dell’Elicantropo di Napoli: i ragazzi del laboratorio, Omar Suleiman, Raffaele Imparato, Paolo Aguzzi, Imma Villa e la costruzione registica di Carlo Cerciello. Un mese di repliche, pubblico di giovanissimi, lacrime e commozione. Questo spettacolo, in scena dal 2000, è poetico, inevitabilmente e profondamente doloroso. Quando la poesia eleva lo spirito fuori dalle mura di una prigione, in un tempo di guerra infinito, la mente vola tra i cieli di Palestina, quelli della memoria, quelli simbolici che conserviamo gelosamente. L’impatto emotivo è fortissimo, voluto, riconosciuto, consapevole. Dall’introduzione video e musicale nel foyer del teatro, fino alla sala, alla nebbia che pervade la platea, alla polvere delle case rase al suolo,

all’incessante fumo di guerra, alle urla, alle preghiere. Usciamo dal teatro sporchi di sangue, non realmente, ma psicologicamente. L’intero spettacolo, tratto da “La terra più amata”, voci della letteratura palestinese, sembra costruito invertendo il consueto ritmo, partendo dalla fine, dalla morte e dal coraggio. YA LEIL MA ATWALAK – Oh notte, quanto sei lunga - risuona insieme alle immagini reali proiettate su video, accanto alle note di John Lennon. Il suono profondo, vibrante, affidato a Valentina Clemente e a Rosalba Alba Chiariello, è quello di una preghiera pronunciata ed intonata dall’umanità intera, ormai inerme, ridicola, codarda davanti a tanto sfacelo. Anche le immagini dei bambini massacrati ed uccisi in Palestina costituiscono un doloroso impatto visivo a cui il pubblico è costretto sin dall’inizio. La storia della giovanissima Rachel Corrie, la ragazza americana schiacciata da una ruspa mentre cercava di impedire l’abbattimento di un edificio in cui vi erano adulti e bambini, costituisce “l’incipit”, o forse la conclusione, di questo racconto. Indimenticabile l’immagine del padre con il bambino, accasciato in un angolo di strada, mentre chiede pietà ai soldati, cercando di proteggere, senza armi, il figlio: l’immagine seguente è quella del bambino morto e del padre agonizzante. La morte ci introduce al racconto, che diventa poetico e profumato, alternando il passato solido, il presente dell’occupazione israeliana, il futuro inesistente. Su fondo nero, il palcoscenico si eleva su diversi livelli e la costruzione piramidale è soprattutto temporale. Seduto in posizione avanzata, a contatto con il pubblico, Omar Suleiman racconta la storia di un maestro che ha visto morire i suoi allievi, che ha visto la sua famiglia distrutta da quei profughi che un tempo aveva ospitato, la storia di Fares, delle prigioni, in un continuo intersecarsi di piani temporali e di flashback, attraverso una costante alternanza di ritmi serrati e rallentamenti. Le parole del maestro/poeta palestinese risuonano antiche e dolci, mentre raccontano le violenze e il dolore subiti da chi è costantemente sradicato dalle proprie radici. La casa ritorna incessantemente negli spettacoli e nei racconti di Suleiman, la casa distrutta, la casa abbandonata e sepolta, ma soprattutto la casa occupata da altri. L’immagine dell’abbandono di ciò che si è posseduto da sempre, si sovrappone a quella dell’occupante dentro le nostre stanze. Oltre al discorso storico-politico, culturale e religioso, che attanaglia da sempre la Palestina, oltre alla denuncia contro l’Occidente cieco e svogliato, oltre al grido di disperazione nei confronti delle uccisioni dei minori, questo spettacolo parla di tutti noi. La scena conclusiva “sbatte” sul fondo una croce cristiana, immagine che affiora, durante l’intero spettacolo, nei momenti caratterizzati dall’oscurità – sebbene questi a volte siano eccessivamente prolungati- e dalla nebbia. Il giovane maestro è crocifisso, le donne urlano contro il Dio cristiano, guidate da Imma Villa nel suo ruolo di corifeo che conduce il pubblico, insieme ai giovani attori, al momento più alto di dolore. Mater dolorosa ai piedi della croce, anche l’attrice è inserita all’interno della scena che ricorda, non solo le Madonne rinascimentali su trono, con fondo dorato ed angeli attorno, ma anche le crocifissioni belliniane. Il tutto trasportato simbolicamente ai giorni nostri: l’oro è decaduto, il nero incombe. L’invocazione al Dio che ha ormai dimenticato l’umanità è pronunciata in due lingue, attraverso un terribile grido umano che si eleva al cielo chiedendo il perché di tutto questo. Si interroga la divinità che è stata crocifissa, che sta in cielo, che guarda dall’alto, che si è sacrificata, è vero, ma per ottenere cosa? Lo spettacolo raccoglie l’attenzione del pubblico, gioca sugli effetti di luce sfruttando la tecnica del “light scattering”, sull’alternanza di piani e sulle storie che si incastrano, utilizzando musiche accattivanti, dando vita ad un prodotto artistico in cui anche i livelli attoriali si intersecano: dall’artista professionista, al giovane attore con esperienza, agli allievi più giovani. Il risultato è un’omogeneità che riesce sempre ad evitare momenti discendenti o eccessivamente elevati, soprattutto dal punto di vista recitativo. Usciamo dal teatro e ritorniamo alla vita “reale”. La nostra.

Foto di Andrea Falasconi.

IL CIELO DI PALESTINA
Teatro Elicantropo Napoli
7 gennaio – 7 febbraio 2016
Teatro Elicantropo Anonima Romanzi e Prospet
presentano
Il cielo di Palestina
"i ricchi hanno dio e la polizia, i poveri le stelle e i poeti"
da La terra più amata, voci della letteratura palestinese
con
Omar Suleiman, Raffaele Imparato
Paolo Aguzzi, Gian Marco Ancona, Luciano Dell'Aglio
Fabio Faliero, Vincenzo Liguori, Fiore Tinessa
gli allievi del Laboratorio Teatrale Permanente
Veronica Bottigliero, Claudia Cimmino, Paola Cipriano, Antonio Coppola,
Dario De Simone  Livia Esposito, Gaetano Franzese  Matteo Giardiello,
Annalisa Iovinella, Ianua Coeli Linhart, Giovanni Meola, Monica Pesapane
Carolina Rapillo, Roberta Ruggiero, Sara Savastano, Claudia Sorgiacomo, Agata Spina
i brani iniziali sono cantati dalle allieve
Valentina Clemente e Rosaria Alba Chiariello
con la partecipazione di Imma Villa
scene Massimo Avolio, Roberto Crea   
musiche originali Paolo Coletta
aiuto regia Aniello Mallardo
assistente regia Serena Mazzei
progetto adattamento e regia Carlo Cerciello