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In occasione della Giornata della Memoria la compagnia Chronos3, torna a Teatro Libero di Milano con lo spettacolo TESTASTORTA La storia inventata, tratto dal romanzo Testastorta di Nava Semel. Nava Semel, nata a Tel Aviv, da genitori sopravvissuti alla Shoah, scrive per adulti e per ragazzi ed è tra le più talentuose e importanti figure della letteratura israeliana contemporanea. Sul palco una coppia di attori eccellenti: Alessandro Lussiana e Valeria Perdonò, in grado di dare vita a personaggi di culture e età differenti: la zia, la madre, il nazista, il maestro di scuola, il professore di origine ebrea, il giovane Tommaso...Il risultato? Una polifonia surreale e magica. Quando uno spettacolo raggiunge il suo scopo, le immagini della scatola magica restano nella mente a lungo, ogni volta producono nello spettatore un desiderio di ritorno, piacere nella memoria,

piacere dell’impossibilità di una replica, piacere dell’unicità.  Manuel Renga, (diplomato al corso di regia della Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano nel 2013) con una regia delicata ed efficace racconta la storia di un bambino, Tommaso, di una famiglia, madre e zia adottive, di un piccolo paese nelle montagne del nord Italia, e lo fa con piccoli oggetti del quotidiano, oggetti comuni abbandonati in una soffitta che diventano simboli magici. Come nel film di Guillermo del Toro “Il labirinto del fauno” (per chi non l’ha visto: correre a vederlo...) il punto di vista sui fatti storici è affidato al mondo dell’infanzia, gli oggetti si animano e raccontano di altri mondi. In soffitta due donne nascondono un ebreo e Tommaso immagina di vedere draghi e principesse. Nella soffitta c’è davvero qualcosa, oppure sono tutte invenzioni del giovane? Il giovane, coraggioso come le prime rose che sbocciano, decide di diventare amico della misteriosa principessa nascosta in soffitta, non ama i fascisti, i Tedeschi, gli uomini prepotenti e affronta il buio per non piombare a sua volta nel buio. Lo spettacolo è ambientato proprio in una soffitta: luogo della memoria per antonomasia. «Lo spazio disegnato da Marina Conti e Stefano Zullo è creato con pochi ma precisi oggetti di scena mossi dagli attori, capaci grazie alla narrazione di spostarsi e catapultarsi da un luogo ad un altro, facendo leva sull’immaginazione. Pochi e poveri oggetti, simbolo del “poco e povero” che doveva farsi bastare la gente nel periodo della guerra.» Il bianco prevale su tutto, anche sulle quinte nere: in uno spazio scenico destrutturato che si afferma non come luogo di rappresentazione ma come quello del non rappresentabile, si compie l’ennesima lotta fra il bene e il male. Il decentramento scenico stimola la fantasia dello spettatore e lo sollecita a ricomporre e integrare tutti gli elementi dispersi. La regia lavora su elementi discontinui: tagli visibili, pause, buio, musica, dando una profondità di spazio temporale e la fabula, in questo modo, rinvia a qualcos’altro, diventa referente universale. La musica parte integrante del lavoro è bisogno di pace e di armonia la speranza di un futuro migliore. La drammaturgia di Tobia Rossi, diplomato presso la scuola d’alta formazione Centro di Drammaturgia Performativa e Comunitaria, promossa dal CRT di Milano, è scorrevole e commovente. La rappresentazione termina con l’inizio, la fine è provvisoria perché la domanda è sempre la stessa: «C'è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?» (Albert Einstein)

Milano, Teatro Libero, 28 gennaio 2016