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La rassegna Una stanza tutta per lei, al Teatro Due di Roma fino al 10 aprile prossimo, mette in fila una serie di spettacoli, prevalentemente monologhi, variamente dedicati all'universo femminile. L'unico punto fermo, verrebbe da dire dopo avere assistito ai primi quattro, è la centralità della parola, la sua necessità, la sua volontà di non abdicare di fronte a forme espressive spurie o contaminate.  Ai primi due monologhi, presentati in prima, che mutuavano la scrittura da altri testi e autori  sono seguite due scritture autografe, in cui le interpreti davano voce alle loro stesse parole. Sono in realtà due lavori già ampiamente rodati ma che hanno offerto al pubblico fidelizzato la  possibilità di un confronto ravvicinato tra due operazioni completamente diverse, che testimoniano di due approcci antitetici alla scrittura e di due utilizzi possibili della parola. La parola come significato, veicolo di un racconto che procede per nessi di causa effetto, per acquisizioni di significato ulteriore, per ragionamenti e successione di fatti narrati. E la parola come

significante, come suono, come verbo non necessariamente inserito in una causalità imprescindibile.
Al primo caso appartiene Finalmente sola, di e con Paola Giglio, testo vincitore del  premio Anima e corpo del personaggio femminile, che mette in scena una storia autobiografica di dipendenza amorosa, con tutti i corollari del caso a cominciare dall'autostima che va a farsi benedire. C'è ironia, tanta, e una buona dose di mediazione, grazie anche alla regia empatica e generosa di Marcella Favilla, giovane attrice al suo convincente debutto registico. Il testo è costruito secondo uno schema che sottolinea i conflitti, i momenti di svolta, le relazioni. E il rapporto di coppia emerge nei suoi risvolti patologici e grotteschi, adombrati dalla presenza di novelle Giocaste che non trovano pace. Gli uomini, uno per ogni lettera dell'alfabeto perché la nostra è stata ininterrottamente fidanzata fin dalla più tenera età, sono trattati malissimo, ma non potrebbe essere altrimenti, e alle amiche si affida invece la missione salvifica, che non è mai indolore.
E' un lavoro serissimo dove si ride tantissimo, ben recitato, pieno di ritmo e di idee, con una bella energia, e arriva da due giovani artiste che non si sono accontentate.
Non si è accontentata nemmeno Clara Galante, interprete e autrice di Non sono stata finita, un monologo in versi ispirato a un fatto di cronaca accaduto a una donna sopravvissuta a una violenza, ritrovata da un passante in fin di vita, chiusa in una busta di plastica. Eppure questa operazione è totalmente affrancata da contingenze di sorta. Innescata, occasionata, compromessa, ma non vincolata all'oggettività dei fatti.
Si evoca la costrizione, si prova ad assumerla, a scontarla su di sé, ma non la si imita.  E' un lavoro difficile, in cui l'attrice si costringe in posizioni innaturali, risolte quasi tutte su un tavolino quadrato, anch'essa avviluppata in un sacco, distillando parole come gocce in una litania più volte interrotta. Gocce che scavano la pietra e si conficcano nei solchi. E poi tornano a vibrare come reazione a un cinguettio, a un ronzio, al rumore dell'acqua, che è anche la prima parola che viene detta e cercata.
Qua e là si cavalca una rima -mangiato, creato - si sventra una parola che è il nome della donna, Francesca, 'franca con tutti' , 'esca' all'amore, si anela al 'quotidiano beato', si implora 'Venite a trovarmi'. Ecco, ci sono piccoli frammenti di significato ma  in una partitura che trova il suo senso in quello che Roman Jakobson chiamava l'autoriferimento del linguaggio poetico.
La rassegna prosegue con Le Brugole in Diario di una donna diversamente etero, dall'11 al 14 e con Federica Restani diretta da Raffaele La Tagliata in La donna alata, dal 18 al 21, liberamente ispirato al romanzo Notti al circo di Angela Carter.  

UNA STANZA TUTTA PER LEI
FINALMENTE SOLA  (foto)
di e con Paola Giglio Regia di Marcella Favilla
NON SONO STATA FINITA
di e con Clara Galante