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Perché no? Amleto è un ragazzo dei nostri tempi e sull’universalità delle opere shakespeariane non abbiamo mai avuto dubbi. Fragile, sconnesso dalla realtà, tremante e folle, in realtà sembra essere meno coraggioso di quell’Amleto più conosciuto, nel quale si sdoppia dolorosamente, durante questo spettacolo. Ciò che si vede, non è: il concetto di maschera è la costante dell’intera tessitura di questo testo drammaturgico, che recupera originali prestiti da autori conosciuti ai più. L’impressione immediata rivela la presenza di un filtro, ossia del processo che investe la tradizione drammaturgica, storicamente e culturalmente solida, in questo caso quella firmata da Shakespeare, violentemente “lanciata” verso il nostro secolo. Ma non senza un ostacolo. O meglio, un filtro. Passando attraverso il Novecento, questi personaggi sono duramente filtrati attraverso

la visione pirandelliana, attraverso quella psicanalisi che diventa, poi, il vero filo conduttore di questo spettacolo. Il testo proposto da Carmen Pommella e da Giovanni Del Prete, presso il Piccolo Bellini di Napoli, dal 23 al 28 febbraio, mette in scena l’analisi del testo stesso e dei personaggi, “imboccando” letteralmente lo spettatore, sia quello più esperto, che riconosce citazioni e riferimenti, sia quello meno avvezzo alla lettura di drammaturgia e alla conoscenza della storia del teatro. Potremmo azzardare che lo spettacolo potrebbe essere rivolto anche ad una platea di giovani studenti degli Istituti Superiori, opportunamente preparati, attraverso una lettura approfondita dei testi-fonte. Superando queste elucubrazioni, dettate dall’interesse rivolto al pubblico e dall’osservazione dell’intento didascalico del teatro nei confronti delle masse contemporanee, la costruzione di questo testo incuriosisce. Una sorta di ballatoio è sul fondo, a mezza altezza: copre i volti dei personaggi che, camminano incessantemente, prima di entrare in scena. Una sorta di quarta parete immaginaria, identificata, per lo più, come spartiacque temporale e metaforico tra passato e presente. Quel filtro citato prima, che setaccia ulteriormente e mescola, nello stesso tempo, è lì: gli attori devono quindi abbassarsi, o addirittura strisciare, quando entrano in scena. I personaggi – che sono sei, di memoria palesemente pirandelliana – entrano nello studio in cui Amleto affronta le sue complesse sedute psicanalitiche. La dottoressa gli propone, infatti, una terapia di gruppo, definita “Costellazioni”, durante la quale si offre al paziente la possibilità di ricostruire la sua dolorosa storia, attraverso la collaborazione di altri pazienti che, secondo le sue volontà, interpreteranno i personaggi attivi nel suo racconto. Lo spettacolo, dunque, sin dall’inizio, si fonda sul concetto di metateatralità, di maschera, di recitazione come finzione e rivelazione, elementi insiti nel testo shakespeariano, non solo durante il famoso spettacolo preparato da quegli attori coinvolti da Amleto per smascherare lo zio, ma nell’intero percorso della follia del personaggio che smaschera le meschinità e i terribili delitti. Lo smascheramento, qui, serve allo stesso Amleto, affinché il processo di allontanamento della rabbia e del ricordo si compia. Tra giochi di parole – “C’è del marcio in Danimarcia!” -, ironia – intesa alla maniera pirandelliana-, doppi sensi e doppi personaggi, lo spettacolo accelera fino allo “sparagmos” finale, e qui, lo sfogo delle passioni è fortemente legato alla tragedia classica, permeata dalla psicanalisi novecentesca. La duplicità e l’ambiguità del racconto si rivelano, volutamente, nei personaggi, matti certamente, ma consapevoli della verità – sulla follia shakespeariana e pirandelliana esiste una ricca bibliografia -, ognuno con una problematica differente, ma ambigui, perché simili ed opposti ai loro punti di riferimento originali. Lo stesso Amleto parla con il suo alter ego immaginario, Ortazio, giocando con il nome e rivolgendosi ad un volto stampato sulla sua maglietta. Nel “gioco delle parti” – impossibile non citarlo! – il paziente che interpreta Amleto, in quella performance che è la finzione delle “costellazioni”, è violento, vendicativo, riporta in scena l’atto sessuale macabro ed osceno, mimandolo con la madre e con il presunto zio. Anche questi sono interpretati, l’una dalla stessa dottoressa, l’alto da uno dei pazienti che, inevitabilmente, incarna sia il padre che lo zio, con un tocco di quel “Macbeth” che non riuscirà più a lavare le sue mani. Non dimentichiamo, infine, Ofelia, interpretata da una prostituta, vestita di nero, evidente riferimento alla figlia dei sei personaggi pirandelliani, con accenni alla “Dodicesima notte”, attraverso un’evoluzione che rende il personaggio figlia dei tempi, infettata dalla follia del mondo. L’excursus dell’intero spettacolo è anch’esso duplice, se non molteplice: la storia si ramifica, sembra reale, poi appare come una prova di uno spettacolo, ricordando anche i sei personaggi de “I Promessi Sposi alla prova” di Testori. Amleto assegna le parti, i pazienti lavorano con il corpo e le posizioni, il linguaggio è caratterizzato da colloquialità contemporanea e stralci di testo originale. Il tutto con effetti, a volte, macchiettistici, come se gli attori recitassero macchinosamente e non riuscissero ad interpretare, per poi esibirsi in lunghe declamazioni e dolorose interpretazioni affettate. Le costellazioni, citate allegoricamente da Shakespeare, legate alla costruzione di intrecci e di personaggi, muovono le vite del mondo, creano effetti indesiderati, costituiscono una terapia psicanalitica del nuovo secolo. Lo spettacolo, nonostante alcune eccessive reiterazioni ed ingenuità recitative, oltre a momenti in cui  i nodi sembrano non sciogliersi, contiene moltissimi elementi e riferimenti che, pur rischiando di sovrabbondare, sono costruiti con una giusta dose di ironia. Essi, infatti, creano un’originale osservazione della tradizione teatrale, comparando, filologicamente e drammaturgicamente, testi e personaggi conosciuti. Emergono, all’interno del turbolento e variegato cast, Orazio Cerino ed Antonio Vitale, quest’ultimo perfetta e molteplice, seppur contenuta, incarnazione di ironia, drammaticità, macchiettismo, follia e paura.

COSTELLAZIONI AMLETO
Piccolo Bellini Napoli
23-28 febbraio 2016

Roberto Sapienza e LePecoreNere
presentano
COSTELLAZIONIAMLETO
da un’idea di Carmen Pommella e Giovanni Del Prete
con
CARMEN POMMELLA
ADRIANO FALIVENE
ORAZIO CERINO
ANTONIO VITALE
FRANCESCA IOVINE
ETTORE NIGRO
Luci MARCO GHIDELLI
Assistente alla regia SANDRA CARAGLIA
Testo e Regia GIOVANNI DEL PRETE