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Il viaggio di una donna attraverso una serie di porte scorrevoli, scena quasi bianca, storia quasi vera. Nulla è dato per certo, ogni personaggio presenta molteplici sfumature anche i fatti risultano sospesi. Il testo di Simon Stephens (Manchester 1971) uno dei drammaturghi più rappresentati nel Regno Unito, racconta due giorni nella vita di una donna che percorre un cammino in cerca di una laica pietà per sé stessa, per suo marito, per i suoi familiari. Quarantott’ore di incontri, ripensamenti, dubbi, fragilità. Un viaggio doppio: esteriore ed interiore. Ribellandosi al proprio datore di lavoro, un uomo di dubbia moralità, Harper sceglie di non obbedire più ai sensi di colpa, alle paure e ai doveri, rischia il

licenziamento e parte alla ricerca del padre. Un padre che non incontrerà. Madre di una ragazzina diciassettenne in piena crisi adolescenziale, moglie di un uomo accusato di pedofilia, lei è l’unica che può occuparsi economicamente della famiglia poiché nessuno vuole più assumere il marito. Divisa tra le responsabilità e desiderio di fuga, Harper sceglie di partire, per capire. Il testo di Simon Stephens parla delle relazioni quotidiane dei conflitti generazionali, il drammaturgo inglese mette in scena la verità e i suoi personaggi imperfetti sospendendo ogni giudizio. Oggetti di scena che si trasformano, a seconda dei quadri scenici e che ricompaiono in altri momenti dello spettacolo, spingono lo spettatore a riflettere sulle caratteristiche di ogni personaggio, la scenografia, minimalista comunica un senso claustrofobico di oppressione e di chiusura: racconta le piccole gabbie del quotidiano. Una grande vetrata sospesa sulla scena e giochi di luci di Nando Frigerio oltre la vetrata ci lasciano immaginare altri mondi; anche oltre le porte disposte sul fondo, accadono eventi che percepiamo in parte e su cui possiamo solo fantasticare. Harper arriva in ospedale dal padre e scoprirà che è già morto, tutto avviene al di là delle porte. Gli esclusi noi e lei a cercare di governare il caos della vita. Un cast di attori ( Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Camilla Semino Favro, Marco Bonadei, Cristian Giammarini, Francesco Acquaroli, Martin Chishimba)  in grado di navigare fra le complesse sfumature del testo. Fra tutti spiccano: Cristina Crippa nel ruolo della madre: in poche scene rende la complessità di una figura, pochi gesti misurati e lenti e si apre davanti a noi tutto il mondo della maternità, della necessaria indulgenza. Elena Russo Arman una meraviglia di occhi dolenti profondi e neri che sanno guardare negli abissi. Ogni personaggio racconta vizi e contraddizioni del nostro tempo ma affrontati con umanità e comprensione. Harper alla fine, confida al marito di essere stata con un altro, e lui risponde immaginando un futuro idilliaco insieme. Non importa se accadrà o meno l’importante è, nonostante tutto, riuscire ancora a sognare. La regia di De Capitani è precisa e asettica le emozioni rinchiuse in una scatola bianca: il tempo della finzione è anche tempo della riflessione, il teatro come una cerimonia indefinibile, un rituale sociale e culturale. Un rituale che si rinnova ogni sera, perché a teatro si muore e si torna a nascere.

Milano, Teatro Elfo Puccini, 2 marzo 2016