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«Io qui sto bene qui, mi sento a casa...» Massimo De Vita, figura storica del Teatro Officina, in apertura, dedica la serata ad un uomo, Fabrizio Casavola, che ha dato tanto ai rom, se ne occupava come volontario e come mediatore culturale. Unico gagé (non rom) di cui i rom si sono veramente fidati. Fabrizio, scomparso prematuramente, si è donato anche al teatro sociale e viveva il Teatro Officina come una casa un luogo accogliente, così la pensano i ragazzi del gruppo Rom Faktor, così la pensa il pubblico che si sofferma dopo ogni spettacolo chiacchierare a bere un bicchiere di vino insieme agli attori e agli autori. A chi dà vita ogni giorno impegnandosi per gli altri e nelle attività del teatro: Massimo De Vita e Daniela Airoldi Bianchi lo fanno con amore. In tempi bui è ancora più importante offrire spazi per raccontare le storie degli altri, degli ultimi: saper tendere la mano. Le ultime

esperienze di questo teatro di quartiere riguardano il mondo dei giovani e le loro personali riflessioni sulla storia del nostro paese, sulla legalità, come nel caso degli spettacoli su Pasolini, sulla Resistenza sulla mafia. Lo spettacolo costruito sul lavoro dei giovani componenti del gruppo ROM FAKTOR di Milano, esplora diverse tematiche connesse all’identità rom: il rapporto con i documenti d’identità e i permessi di soggiorno, il viaggio, l’abitare la città, il rapporto con la tradizione, la lingua e linguaggi rom. La narrazione del sé, condotta dai giovani attori attraverso una continua ricerca, rivela a volte la magnifica indefinitezza del loro essere adolescenti, a volte il rigore della secolare tradizione rom. Ogni ragazzo ha avuto la possibilità di confrontarsi con il drammaturg Alberto Cavalleri e di poter riscrivere la propria personale narrazione. La regia di di Alberto Cavalleri ( allievo di Gabriele Vacis e Luca Ronconi, si è specializzato in pedagogia teatrale presso l’Università Cattolica di Milano) e Dijana Pavlovic ( attrice che da tempo promuove la cultura e la letteratura rom, svolgendo anche il ruolo di mediatrice culturale nelle scuole) , si muove in punta di piedi e lascia agire e parlare i giovani attori che raccontano anche un mondo di pregiudizi: i nostri.  Mohamed Kamal Ahmed, Rebecca Covaciu, Toni Deragna, Andrea Djordjevic, Martina Djordjevic, Daniel Georghe Iancu, Caterina Scalfi, Silvester Selimovic, Tyzon Laciho Selimovic, Darius Stoican, Fedra Tabbò. Attraversano il nostro mondo di stereotipi con i loro delicati pensieri, i loro interrogativi. «Non ho fatto passi avanti né indietro sono rimasto sempre nel mezzo...» Ci dice Andrea «Mi manca la j del mio nome...In Italia il mio cognome (Djordjevic) l’hanno scritto senza neanche la J. A volte mi sento come quella lettera smarrita, un segno piccolo come una ferita, la cicatrice di un paese in cui non sono mai stato, Repubblica Serba, diverso da Torino, il posto in cui sono nato. Fa troppo freddo qui dentro. Fa sempre troppo freddo quando nessuno ti riconosce.» Dario invece racconta le identità appiccicate addosso come un vestito stretto: «Per molto tempo ho avuto una sola identità: ero semplicemente un bambino. Poi quando sono andato a vivere in Italia, sono diventato uno zingaro…» Un percorso di apprendimento anche per il drammaturgo: «I rom sono per me, un’apparizione: la loro verità è discussa e mediatica, ma sfugge di continuo. L’identità dei rom è sottile, complessa e non è fatta solo dei dati giornalistici. La verità è silenziosa e fatta di corpi, ma ricoperti di stereotipi. Loro a conti fatti sono un segreto» Lo spettacolo ha una struttura aperta il lavoro è legato alle suggestioni alle proposte dei partecipanti. Lo stile performativo mescola corpo espressivo e metaforico con il realismo quotidiano, momenti ritmici (accompagnati dalle emozionanti musiche dal vivo di Gianni Parodi) poetici, flash, ricordi, percezioni...nel finale la memoria collettiva va alle vittime dei campi di concentramento. Lo spettacolo è realizzato nell’ambito di ricerca delle attività di cittadinanza europea di Fondazione Feltrinelli, con il contributo di Fondazione Cariplo, in collaborazione con l’associazione “Il razzismo è una brutta storia e con l’Associazione GRT” . Il progetto Rom Faktor nasce nel 2013, coinvolgendo un primo gruppo di ragazzi rom di diverse provenienze (Romania, Serbia, Croazia e Rom Italiani), tra i 14 e i 23 anni, tutti abitanti nell’area metropolitana di Milano, in appartamenti, campi o strutture di accoglienza. Il Progetto, creato da Dijana Pavlovic e dall’Associazione Upre Roma di Milano, mira alla creazione di un nucleo culturale giovanile rom, attraverso lo strumento consapevole dell’espressione teatrale. (Nella sezione Notizie di questo sito è possibile leggere il percorso del progetto). Uno spettacolo per guardare gli altri aprendo gli occhi pe capire a fondo ciò che non conosciamo lo dice sorridendo Fedra: «Come si definisce una cosa che non conosciamo? Come si guarda una persona ad occhi chiusi? Come si parla a coloro a cui non vogliamo parlare? Io non so misurare la parola “Uomo” e voi?» Un’ultima osservazione: la parola “Rom” significa Uomo. Alzi la mano chi non lo sapeva, io non lo sapevo, chiedo scusa per la mia ignoranza...

Milano, Teatro Officina, 5 marzo 2016