Nello spirito di questa rubrica non posso fare a meno di puntare, seppur in sintesi forse troppo facilitante, lo sguardo dall’<<Osservatorio teatro>> all’attualissimo e dibattuto fenomeno delle maternità surrogate: si tratta di un problema delicato, difficile, che in molti Paesi è disciplinato legalmente, in molti altri no, come in Italia, dove è addirittura ex-lege.
Che il teatro se ne possa occupare, a partire innanzi tutto dalla scrittura drammaturgica, non può certo sorprendere, sia, appunto, perché i grandi problemi etici sociali giuridici possono trovare a teatro libero dibattimento, sia perché in Occidente dalle sue origini il teatro si è da subito occupato della famiglia e di tutti i suoi risvolti, anche se ad esempio nella Grecia antica protagoniste erano le famiglie nobili, aristocratiche, e potenti, spesso materia di tradizionali racconti nei miti via via formatisi storicamente.
A me pare, comunque, che il nocciolo del problema consista essenzialmente nei nuovi mezzi delle tecniche di intervento biologico, che ormai permettono di inseminare una donna disposta a “prestare” il proprio utero per poi “donare” il figlio che nascerà al padre naturale, sia quest’ultimo eterosessuale che omosessuale.
Proprio in questi giorni è giunta inevitabilmente alla cronaca la notizia della scelta compiuta in tal senso da Niki Vendola e dal suo compagno, con una vasta risonanza di pareri, giudizi, condanne che hanno inondato stampa web giornali. Certamente la risonanza dei fatti deriva proprio dalla novità così radicale che la ricerca scientifica e l’applicazione tecnica hanno apportato, creando, come sempre più spesso accade, uno iato tra natura e cultura che tende ad allargarsi sempre di più, non sappiamo con quali conseguenze.
Nella tradizione culturale occidentale è in particolare il mito e la figura di Faust a dare inizio, da Goethe in poi, alla riflessione sulla smaniosa ansia di avere il potere sulle cose della natura, andando ormai ben oltre l’esempio del Cristo che resiste alla tentazione demoniaca nel deserto di comandare su tutto il complesso naturale e terreno, per poter invece salvare la propria integrità e quella dell’umanità. E non c’è dubbio che oggi perfino la figurazione metafisica del Diavolo è sempre meno presente nelle coscienze: la ricerca tecnoscientifica sembra poter fare tutto, e tutto ciò che vuole, costituendo un irrinunciabile habitat antropologico per l’uomo del Duemila.
Nel Novecento italiano altri autori e drammaturghi hanno affrontato temi che in qualche modo possiamo ricollegare a quello da me qui proposto: dal Pirandello de L’innesto e dei Sei personaggi in cerca d’autore, al Testori di Sfaust e Post-Hamlet ; e sicuramente ci sono altri autori anche viventi che ora non ricordo, i quali si sono occupati di tali problematiche, anche stranieri. Però, in particolare, il problema maternità surrogata o più corrivamente utero in affitto, mi sembra assolutamente nuovo e dirompente.
Ne consegue che può risultare utile qualche riflessione operativa, per così dire, nei confronti di una stesura drammaturgica sul tema, iniziando dai possibili personaggi.
Primo dei quali non può essere che il bambino o bambina messa al mondo. Affiora subito una domanda: come farlo divenire soggetto drammaturgico oltreché oggetto, topic dell’azione drammatica? Teatralmente son convinto che il figlio\a debba essere già almeno adolescente, cioè devono essere passati una quindicina d’anni dalla nascita, anche perché una distanziazione temporale può permettere al drammaturgo di inventare varie ipotesi sulla crescita psicofisica del figlio, di cui, al momento la letteratura scientifica stessa non esprime nulla di comprovato. Inoltre, si può creare un conflitto di grande interesse, fra le aspettative esistenziali di un giovane e gli obiettivi che dall’inizio del suo essere al mondo i due genitori si erano posti: obiettivi che potrebbero confliggere, oppure sciogliersi alla fine positivamente; oppure restare sospesi senza apparenti soluzioni.
Un secondo personaggio potrebbe essere la madre biologica, nel caso, ad esempio, che si possa far viva all’improvviso, reclamando dei diritti “naturali” senza più tener conto di contratti a suo tempo firmati, o di leggi che in un singolo Stato disciplinavano questo tipo di gravidanza. Poniamo un solo caso teatralmente molto appetibile, per così dire: la donna aveva un solo suo figlio “vero”, che però le muore in un incidente: prepotente l’assale la nostalgia di un legame “covato” per ben nove mesi, anche se diversi anni prima, e per il solo fatto di costituire ormai l’unica possibilità di essere ancora madre!
Gli altri due protagonisti non possono che essere i due genitori, dei quali uno sarà naturale, e l’altro (o altra) adottivo.
Nel loro caso la gamma dei conflitti drammatici è ampia: dai comuni e quasi scontati scontri tipici anche di due genitori “normali” tradizionali, fra di loro, o fra loro e il figlio\a, a problemi che esplodono nello specifico: ad esempio, nel caso di due padri, la necessità che il figlio\a, da parte sua,  faccia esplodere di avere una madre-madre, piangendo l’assenza di una figura genitoriale femminile; oppure, il desiderio del figlio\a di nascondere il suo stato in quanto trova i suoi compagni non pronti ad accettarlo nella sua situazione familiare, creando forti tensioni coi due genitori che a loro volta potrebbero avere diverse visioni e soluzioni da sostenere; oppure, ancora, se è di sesso femminile ed i genitori sono entrambi maschi, la difficoltà a confidarsi circa le problematiche femminili; e di nuovo, ammesso che il figlio\a non lo sappia e non sia stato preparato, il venire a conoscenza per un qualche motivo del suo vero stato, con possibili conseguenze anche drammatiche coinvolgenti il terzetto. Ma, a proposito di terzetto, vorrei sottolineare che in ogni caso, come dimostra il pirandelliano Sei personaggi, nessuna nuova scoperta e applicazione tecnologica possono evitare  che il taglio dell’alterità possa sconquassare i rapporti all’interno di una compagine umana quale è un nucleo familiare in qualsiasi maniera si sia costituito. Credo che la mania del procurarsi tutto a low cost in un mondo mercificato di massa e globalizzato anche nelle storture, e di procurarsi in particolare un figlio, non garantisca davvero nel tempo una vera felicità!
Naturalmente le possibilità di intrecciare drammaturgicamente conflitti tensioni rapporti anche positivi sono molteplici: mi premeva in questa sede sottolineare il continuo affiorare nel nostro vivere di modalità esistenziali etiche sociali sempre nuove, sempre diverse, su cui il dialogo aperto e democratico può ogni volta fare un po’ di luce!