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Cento scene in settantacinque minuti, una scenografia sospesa composta da semplici lampadine disposte in modo da creare un effetto costellazione ed ecco: la vita di una coppia scorre sotto i nostri occhi. Costellazioni, del giovane drammaturgo britannico (classe 1984) senza pretendere di affrontare con rigore scientifico alcuni temi cari alla fisica teorica, riflette sul libero arbitrio sull’eterna contrapposizione nella vita degli uomini tra destino e caos, contemplando la possibilità di infiniti universi, di infiniti futuri, in cui la stessa storia viene percorsa con molteplici variabili, mutazioni in corso, piccoli particolari che creano altre storie. La teoria dell’universo abilmente chiamata in causa per raccontare una storia; in questo caso, la storia di due giovani Orlando e Marianna, un apicoltore e un’insegnante di fisica teorica , i due si incontrano per caso, si conoscono, si riconoscono,

si fidanzano, si lasciano, si rimettono insieme...poi lei si ammala...Interessante cerco in internet informazioni sulla teoria dell’universo e scopro che non ne esiste una sola, il sito Sapere.it ne cita almeno tre: quella dell’universo chiuso, quella dell’universo aperto, quella dell’universo che si contrae...Originale accostamento. «La cosmologia è la scienza che si occupa dello studio dell'origine e dell'evoluzione dell'universo e della possibile esistenza di molti universi, problemi di cui gli uomini si sono sempre occupati, dalle prime civiltà fino a oggi, trovando risposte diverse nel corso dei secoli, basate sulle conoscenze dell'epoca.» una drammaturgia cosmologica... Costellazioni ci racconta di universi paralleli e di libero arbitrio, di amore e di malattia. Nick Payne, leggiamo nella cartella stampa, si è ispirato agli studi del fisico Hugh Everett che ideò la sua «interpretazione dei molti mondi» della meccanica quantistica, secondo la quale in ogni istante gli effetti quantistici generano innumerevoli ramificazioni dell'universo, ognuna caratterizzata da un diverso svolgimento degli eventi. La teoria è piuttosto stravagante, ma fu dedotta da Everett direttamente dai fondamenti matematici della meccanica quantistica. Idea originale ma dal punto di vista stilistico nella costruzione drammaturgica il testo richiamo molto di più il lavoro di Raymond Queneau in “Esercizi di stile” «Un episodio di vita quotidiana, di sconcertante banalità, e novantanove variazioni sul tema, in cui la storia viene ridetta mettendo alla prova tutte le figure retoriche (dall'epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese) giocando con sostituzioni lessicali, frantumando la sintassi, permutando l'ordine delle lettere alfabetiche... Un effetto comico travolgente». Il commento è di Umberto Eco una piccola citazione per ricordare un maestro di scrittura... Il testo dopo quattro anni di grandi successi e riconoscimenti dal West End a Broadway arriva a Milano al Teatro Filodrammatici nella traduzione di Noemi Abe. La regia di Silvio Peroni affianca semplicemente la parola scenica senza aggiungere nulla (in effetti poteva regalarci qualche sogno in più) punta su giochi di luci laterali che creano effetti di straniamento. I due personaggi in scena sembrano usciti dal mondo reale ma il realismo è fintamente aperto, in realtà è chiuso, non possono entrare, non possono uscire restano bloccati fra le luci laterali e quelle sospese in alto, quasi un effetto Matrix (per chi ha visto il film). Si apprezza la bravura dei due attori Aurora Peres e Jacopo Venturiero che viaggiano da una scena all’altra senza mai perdere il filo, il conto. Espressivi e autentici nell’irrealtà della parola scenica. Un ultimo pensiero prima di immergermi nella routine quotidiana: “Le persone non entrano per caso nella nostra vita, le cerchiamo...” È la frase di un film. Forse non è originale, ma molto, molto più affascinante. Aiuta a combattere la solitudine delle ore.

Milano, Teatro Filodrammatici, 10 marzo 2016

Foto Luigi Angelucci