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Massimiliano Civica non usa “giri di parole” ed il teatro che descrive, il suo teatro, più che una idea appare una vera e propria esperienza esistenziale, un modo di vivere che ne coinvolge ogni aspetto, molto più e anche molto meno di una “militanza”. Una semplicità che accompagna uno sguardo in fondo disincantato ma anche fiducioso e volitivo che sempre traspare dai suoi spettacoli anche, speriamo a breve, dal prossimo. Un teatro dell’umano e sull’umano.

MDP Massimiliano, se si può individuare un filo rosso che lega le tue esperienze registiche credo che questo possa essere o essere stato il rapporto con i classici. Un rapporto che è stato definito “minimalista” ma che secondo me appare “disinvolto” nel senso di non sottomesso o subordinato. Cosa ricerchi in questa relazione?

MC Non sono interessato ai “classici” di per se stessi. Sono interessato a tutti quei testi che mettono in scena le relazioni tra gli uomini (vecchi vs giovani, padri vs figli, uomini vs donne ecc.). Sono interessato a chi vuole indagare l’animo umano attraverso la forma drammatica, ovvero attraverso la messa in scena dell’incontro-scontro tra possibilità diverse di “essere”. In fondo, come aveva capito Blaise Pascal, “ciò che all’uomo interessa veramente è l’uomo”. E il teatro è l’arte umanistica per eccellenza: il luogo dove degli uomini guardano degli uomini che rappresentano degli uomini. Nei classici, o meglio in quegli autori che hanno scritto opere classiche, come Shakespeare od Euripide, sono alla ricerca di “fratelli maggiori”, molto più intelligenti e dotati di me, per apprendere qualcosa sulle relazioni umane, ovvero su noi stessi. Nella relazione con i classici io tento di mettermi in ascolto, umile ma non modesto, con dei geni (come appunto Euripide o Shakespeare) per imparare qualcosa da loro sulla vita.  Non ragiono in termini di sottomissione o trasgressione nei miei rapporti con gli autori che scelgo, ma nei termini di un ascolto partecipato. Tento di costruire un dialogo aperto tra questi autori, me stesso ed il pubblico.

MDP All’interno di questa tua ricerca Shakespeare ha occupato un ruolo di rilievo. Mi sembra che verso il testo vi sia da parte tua il tentativo di trovare una chiave di svelamento che passa in primo luogo da un lavoro di sottrazione e sintesi che non è solo un “contemporaneizzare” quanto un “universalizzare” quella specifica dimensione testuale e scenica. Penso in particolare al tuo “Il mercante di Venezia”. È una impressione corretta?
MC Termini come “contemporaneizzare” o “universalizzare” sono fuorvianti. L’uomo è sempre contemporaneo a se stesso. Ciò che ci apparenta con un antico egizio, con Dante o con Shakespeare è il fatto che tutti amiamo, mangiamo, invecchiamo, soffriamo e muoriamo. Chiunque affronti con coraggio queste questioni eterne è nostro contemporaneo, perché in Arte non si dà progresso ma solo evoluzione. Una poesia di Dante non è meno contemporaneo di una di Montale, proprio perché le questioni fondamentali sono sempre le stesse, cambia solo il possibile modo di approcciarle. Il mio non è un lavoro di sottrazione o di sintetizzazione dei testi, ma un lavoro che tende a evidenziare la permanenza delle questioni fondamentale dell’umano.  

MDP Talora sembra che tu voglia individuare la chiave interpretativa del testo proprio nella sua dimensione scenica. Come immagini a questo riguardo il transito in scena di testi così fortemente strutturati come i classici, ultima la tua regia di “Alcesti”?
MC Un testo teatrale non è letteratura, ma un copione. Come la sceneggiatura di un film ha bisogno di essere “girata” per disvelare il suo senso, così un copione deve essere messo in scena per disvelare il proprio. La musica scritta non è musica, sono solo note su di un pentagramma: è l’essere suonata da un interprete che ne attua la potenza. Il teatro avviene in scena davanti agli spettatori, non leggendo il testo. La dimensione scenica non è la chiave interpretativa di un testo, è l’unica dimensione vera del teatro, è il “testo” stesso. Per capire un classico bisogna metterlo in scena. L’Alcesti è teatro, vive solo sulla scena, il mio compito è solo farlo tornare in vita sulla scena, fuori dalla quale non c’è, letteralmente, teatro. Il nostro compito non è trovare il modo di far “transitare” un testo classico sulla scena, ma rimettere carne e sangue sulle ossa del cadavere dello spettacolo che sono le parole scritte sulla carta.

MDP In una recente tua lezione-spettacolo, cui ho assistito a La Spezia, mi sembra che tu abbia suggerito una sorta di nostalgia per un mondo teatrale aspro e freddo, quasi contrappositivo rispetto alla vita, un mondo che hai visto rappresentato nella parabola di Eduardo. Pensi dunque che il teatro sia una “missione” o soltanto un “mestiere”?
MC Il teatro non accetta le antinomie. Il teatro è insieme missione e mestiere, arte e mercimonio. Chi non accetta la compresenza di alto e basso, di sacro e profano, insomma la compresenza degli opposti che è il teatro non accetta il teatro stesso.

MDP Tu sei stato attore e sei regista e drammaturgo, ma sei stato anche direttore artistico al Teatro della Tosse di Genova.  Il dover valutare quali spettacoli e artisti includere nel cartellone teatrale è stata una esperienza utile e di crescita anche per la tua attività di creatore di spettacoli?
MC Come regista da sempre valuto tutti gli spettacoli che vedo, fa parte del mio mestiere e del mio apprendistato, il lavoro di direttore è solo una continuazione di questo lavoro.

MDP Il Teatro è infatti un punto di incontro e di fusione di numerose competenze artistiche, tecniche ma anche amministrative, se non addirittura politiche, che non sempre sono in equilibrio. La tua storia e la tua esperienza sembrano dire, in proposito, che per te il teatro è anche “militanza” nel senso più ampio del termine. Quale è la tua opinione sul momento attuale del teatro italiano?
MC Il teatro oggi è in crisi, come sempre è stato. E nei momenti di crisi sono sempre stati gli attori a salvare il teatro. Sarà così anche stavolta.
MDP Tu tieni spesso laboratori in giro per l’Italia, una attività che si interseca con quella più propriamente artistica e che comunque è parte, a quanto mi sembra di capire, della tua più ampia idea di teatro. Quale il tuo rapporto con gli attori e il rapporto di questi con la tua scrittura scenica?  E’ la tua una vocazione pedagogica?
MC Faccio laboratori per campare. Se con il mio lavoro di regista potessi campare non farei laboratori. Non ho la vocazione del pedagogo o del maestro. Mi piace imparare. Per questo lavoro con attori che mi sappiano insegnare qualcosa. Il mio rapporto con gli attori è improntato ad un reciproco scambio alla pari di esperienze.

MDP A cosa stai lavorando e quale sarà il tuo prossimo spettacolo?
MC Al momento non ho spettacoli in cantiere. Non faccio teatro amatoriale, e, se non ci sono soldi, non faccio spettacoli: per adesso insegno.