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Il ring è un palcoscenico e il palcoscenico è un ring dove si affrontano le passioni, o la scomparsa delle passioni come nel buio di un knock-out; il pugile è un ballerino, un funambolo che come l’eroe di Jean Genet cerca la sua posizione nel mondo sacrificando nella sua rabbia la menzogna di una esistenza perduta, è un attore, un atleta del cuore sgorgato dalla drammaturgia dell’Artaud che conosceva  “uno stato al di fuori dello spirito, della coscienza dell’essere, dove non ci sono più né parole né lettere, ma dove si entra attraverso urla e colpi”. Ma questo lavoro di Sabino Civilleri e di Manuela Lo Sicco, su bel testo di Enrico Ballardini, non ha solo tutto questo, queste suggestioni forse più facilmente percepibili, ha qualcosa di più e di diverso, compie, per così dire, un passo in avanti se non un salto nell’oscuro svuotamento di un tempo che non cerca eroi, perché

non cerca più uomini e donne bensì sembra quasi e solo preconfezionarli.
Infatti, a mio avviso, alle suggestioni parallele tra boxe e teatro e quindi al sottinteso discorso sulla sincerità delle prestazioni sceniche e recitative, aggiunge un più complesso orizzonte, l’orizzonte della vita che si specchia nel teatro. Ma lo specchio appare desolatamente vuoto perché la vita è altrove fuggita.
È innanzitutto, e in questo, la storia del sequestro di un sogno, quello di un giovane ragazzo delle pulizie in una sperduta palestra-avanspettacolo che vuole diventare sé stesso con la boxe, sé stesso comunque sia nella vittoria che nella sconfitta, vuole “provarci”.
Convinto, fin quasi al plagio, da quelle grottesche maschere che per conto di altri tengono in piedi un meccanismo ormai vuoto, affronta un combattimento finto in una vita finta così che non è né vinto né sconfitto ma solo derubato di sé: ma necessariamente “lo spettacolo deve continuare”.
Metafora di un teatro svuotato da una società priva di sé stessa, in cui solo la contabilità ed il denaro accendono attese, movimenti e surrogati di passione, è una drammaturgia che trasforma man mano la sua struttura di farsa dall’acida risata in una sintassi oscura, gotica e quasi claustrofobica nella sua assenza di vie di fuga.
Una bella drammaturgia che dei suoi molti ascendenti fa la prima tappa di un percorso libero e autonomo, sia narrativo che scenico, in cui la nostalgia della vita, della naturalità e dunque della sincerità è riproposta e suggerita dalla loro assenza.
Un percorso, inoltre, che ripropone la relazione tra sport, e boxe in particolare, non solo dal punto di vista tradizionale dell’arte attoriale ma anche da quello della articolazione drammaturgica e del senso della narrazione scenica.
Nel bel libro di Franco Ruffini “Teatro e Boxe”, che i drammaturgi potrebbero aver avuto tra i loro riferimenti, la vita e con essa l’arte ancora alimentano l’evento sportivo ma se ne intravvede già il superamento e “il sorridente gioco di fanciullo si rovescia, qui, nell’impassibile funzionamento della macchina; alla naturalezza si oppone la tecnica; al mistero d’un’azione sorgiva fa riscontro il nitido reagire di progettati ingranaggi”.
Ora siamo oltre, in un mondo liquido e angoscioso di maschere e burattini etero-guidati, che ci sottrae ogni occasione e anche la possibilità della sconfitta, e con questa in fondo, nel continuo ripetersi, ci deruba infine della morte e del suo significato.
Il testo è interessante, la regia è salda con suggestioni e corrispondenze stimolanti (il telefono che squilla senza interlocutori, le arance di un giocoliere, il vero pugile coinvolto nel gioco scenico con effetti molto validi), la recitazione è da parte di tutti all’altezza.
Tra le scene ben ideate di Riccardo Bonechi giocano con efficacia, tra immedesimazione psicologica sottolineata dalle inflessioni dialettali e meccanicità da marionetta, Filippo Farina, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Mariagrazia Pompei, Quinzio Quiescenti, Stefania Ventura e Gisella Vitrano.
Una produzione della compagnia Civilleri/Lo Sicco, vista al Teatro Akropolis di Genova Sestri Ponente il 6 aprile (prevista una replica il 7) nell’ambito della nuova edizione del Festival “Testimonianze ricerca azioni” che, di qui al 6 maggio, si presenta molto interessante.
Uno spettacolo apprezzato con molti applausi.

Foto Nico Lopez Bruchi