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Nel dicembre 2010 incontriamo, per caso, la Piccola Compagnia della Magnolia, in un teatrino storico della città di Napoli, il San Carluccio, durante una matinée per le scuole. Dopo sette anni, durante i quali la produzione artistica di questa compagnia diventa punto di riferimento non solo per il teatro italiano, ma soprattutto per quegli artisti che entrano a far parte del Progetto Teatro Abitato – Teatro Comunale di Avigliana (TO), il lavoro di Giorgia Cerruti e dei suoi attori costituisce ormai un’importante guida nel recupero del testo drammaturgico classico, riportato in scena attraverso un particolare “scollamento” dalla contestualizzazione originaria. La compagnia, infatti, segue, sin dal 2004, un attento

percorso di analisi ed approfondimento sui testi più importanti della drammaturgia europea, oltre a creare prodotti artistici inediti, seguendo una specifica caratterizzazione che permette al pubblico di identificare subito la cifra originale di questa compagnia. Se nel 2010 l’esperienza della messinscena de “La Casa di Bernarda Alba” rimane impressa nella memoria degli spettatori – in quel caso la platea era costituita soprattutto da giovani studenti delle scuole napoletane, estasiati dal lavoro scenico e visivo presentato dagli attori, quest’anno la compagnia torna a Napoli con Shakespeare, sulle tavole del palcoscenico di Galleria Toledo, dal 13 al 16 aprile. HAMM-LET/Studio sulla Voracità è uno spettacolo nato nel 2009 e fa parte della cosiddetta “trilogia dell’individuo”, che comprende anche gli spettacoli “TITUS/Studio sulle radici” e “OTELLO/Studio sulla corruzione dell’Angelo”. Lo studio sulla voracità, di cui si accenna nel titolo, è l’elemento che la compagnia ha analizzato ed ha portato alla luce attraverso un testo universale come quello shakespeariano. Non a caso il nome del protagonista, Amleto, è citato nella versione inglese, attraverso un gioco di parole che divide “Hamm”, ricordando il suono dell’invito a mangiare il boccone, rivolto dalle mamme ai loro bambini, da “let”, verbo inglese di incitamento e permissione (non a caso anche la parola “hamm” in inglese indica un alimento, ossia il prosciutto). Il concetto di voracità, che imperversa in tutto lo spettacolo, è legato ad una natura sia materiale che metaforica: dalla torta nuziale con i pupazzetti decapitati, dolce che la madre ingurgita senza pietà, all’acqua che pervade le viscere di Ofelia, fino alla voracità sessuale di Amleto, personaggio ambiguo che si sfama possedendo le donne. La voracità, dunque, diventa azione ossimorica che, da un lato distrugge, devasta, ingurgita per far sparire, così come accade per l’uccisione del re, dall’altro mangia per possedere, così come accade nel rapporto tra Amleto e Ofelia, e allo stesso tempo, in quello tra madre e figlio. Essi, infatti, “ingurgitano” voracemente l’uno e l’altra, a vicenda, alternandosi, fino alla distruzione finale. Ciò che emerge dall’intero spettacolo, e di cui bisogna tener conto, è che non è necessario riportare l’intero testo shakespeariano, dando per certo che il pubblico lo conosca, o che almeno riconosca i personaggi e la trama. La compagnia sceglie, infatti, di estrapolare dal testo originale delle parti di enorme rilevanza, ma soprattutto funzionali al tipo di ricerca che gli attori conducono sulla scena. Superfluo, dunque, in tale contesto,  descrivere ed approfondire tutte le tematiche contenute nell’originale shakespeariano;  pur tenendole bene a mente, infatti, è necessario evidenziare soprattutto il binomio voracità/amore, ma all’interno della scelta operata dalla compagnia,  il femmineo si erge a vero protagonista dell’intero studio. La regina Gertrude, madre di Amleto, in questo spettacolo è preponderante, è matrona, è avida, abbandona i panni della tipica protagonista shakespeariana, posta solitamente in ombra ma artefice delle azioni terribili degli uomini. Quest’ultimi, inoltre, sono assenti: il re Claudio è solo nominato, citato, il fantasma del re sembra secondario, così come Rosencratz e Guildenstern. Gli spettatori della messinscena, organizzata da Amleto a corte, sono solo tre, ossia lui, la madre ed Ofelia: non vedremo nessuna farsa, nessuno spettacolo, ma noteremo solo gli effetti, ossia le lacrime copiose che scendono sul viso dei tre spettatori-attori. L’amore è equiparato al potere del femmineo, a sua volta voracità che si divide in sentimento e possesso. L’amore di Amleto per la madre è profondo, è odio amorevole, è rabbia d’amore, è possesso edipico; l’amore per Ofelia, invece, è potere mascolino, è affermazione della follia, è possesso sessuale; l’amore della madre è carnale nei confronti dell’amante, ma anche materno ed ammaliatore, come una “mater Circe diabolica” il cui figlio ricorda i giochi con Yorick, simbolo di amore e morte. Questo studio sulla voracità, quindi, che è studio sull’amore universale, inteso attraverso mille sfaccettature, non potrebbe avere lo stesso effetto se non fosse gestito attraverso il concetto del femmineo. La voracità dei tre lupi che aprono la prima scena, ossia Marcello-Bernardo-Orazio (gli uomini sono dunque lupi?), si collega all’ultima, caratterizzata da un Amleto - Cappuccetto Rosso –Geisha, dal rossetto scarlatto, ucciso dal suo stesso elemento femmineo, dall’amore vorace per le donne della sua vita, le stesse che sopravvivono in lui. Straordinaria la messinscena dell’intero spettacolo che riporta sul palcoscenico, com’è consuetudine di questa straordinaria compagnia, gli influssi del teatro orientale, dalla tradizione del teatro NŌ a quello indiano, alla danza Butō, attraverso i volti bianchissimi, gli abiti che ricordano i Samurai, i ventagli rossi che recitano insieme ai personaggi. Lo spettacolo scorre attraverso incastri perfetti, inserendo il testo shakespeariano all’interno di un discorso universale e atemporale, mentre le scene, con la preminenza del bianco asettico, del nero/morte e del rosso/amore-sangue, ricordano il gusto di una buona cinematografia fantasy. Compagnia affiatata, incastri perfetti, scelte musicali accattivanti (struggente ed ironica l’Ofelia che piange il suo dolore mentre risuonano i versi della canzona “La partita di pallone” di Rita Pavone <<perché, perché mi lasci sempre sola…>>). L’intero spettacolo sorprende, emoziona, desta meraviglia visiva. Non possiamo tralasciare, però, l’ottima interpretazione di Federica Carra che ha incarnato una delle migliori Ofelie degli ultimi tempi. Attraverso un piccolo escamotage, cioè quello di far rotolare centinaia di bottiglie di plastica in scena, Ofelia urla il suo dolore aprendone numerose, riversando grandi quantità di acqua nella sua gola, continuando a recitare con grande intensità, ricordando così l’annegamento dell’eroina shakespeariana. L’Ofelia dei nostri tempi non rimarrebbe in disparte, combatterebbe, si strapperebbe i capelli, così come fa simbolicamente l’attrice, che per ogni pensiero strappa una piuma dal suo cappello, riempiendo la scena di una coltre bianca, sollevata ad ogni fruscio di abito o ventaglio, ricordando i mandorli giapponesi in fiore. Ofelia si uccide, ma solo dopo aver gridato il suo dolore, ingurgitando voracemente l’acqua, mentre l’aria e la voce stentano ad uscire. Ofelia muore su una scena inondata di bottiglie ed acqua, madida, accasciata, davanti ad un Amleto deriso dalla madre. L’amore è dunque una “mouse trap”. L’ingordigia d’amore è ossimorica poesia mortale.

HAMM-LET/Studio sulla voracità
Galleria Toledo Napoli
13 – 16 aprile 2016
Progetto "Trilogia dell’Individuo"
Regia di Giorgia Cerruti.
Con Davide Giglio, Giorgia Cerruti, Federica Carra.
Uno spettacolo di Piccola Compagnia della Magnolia.
con il sostegno di Sistema Teatro Torino e Provincia
in collaborazione con Théâtre Durance / Scène Conventionnée
(Paca - France) e Corte Ospitale di Rubiera (Mo)