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Un teatro può talora essere non tanto un luogo fisico, una struttura architettonica costruita per e più o meno dedicata all’arte del rappresentare, ma diventare anche un punto di riferimento, psicologico e creativo insieme, per una più o meno grande comunità che attorno ad esso si raccoglie e ad esso comincia man mano a fare riferimento per ritrovarsi ed anche organizzarsi nel gioco, profondo, della conoscenza di sé. Quindi può essere un qualcosa di molto più concreto di quattro mura di marmo o di mattoni. Del resto questo è lo spirito stesso con cui è nato nella Grecia antica quando il legame con la polis era ineludibilmente fondante, tanto che, come scrive Glynne Wickham nella sua “Storia del Teatro”,

“la partecipazione, sia degli autori che degli attori e degli spettatori, alle gare (drammatiche) era allora considerata primariamente un dovere civile e solo secondariamente un intrattenimento o un passatempo”.
Mi sembra che questo sia il caso di FuoriLuogo a La Spezia, un progetto di teatro contemporaneo come si autodefinisce, organizzato negli spazi, piccoli ma funzionalmente utilizzati, del periferico Centro Culturale Dialma Ruggero. Un progetto che è cresciuto e sembra in grado di crescere ancora sulla spinta di Renato Bandoli innanzitutto e poi di Michela Lucenti, di Enrico Casale e di tutti gli altri che vi lavorano con passione.
Questo mi ha suggerito, mentre lo seguivo con curiosità, lo spettacolo in questione in scena in quegli spazi dal 21 al 25 aprile. Questo spettacolo infatti, prodotto congiuntamente da Balletto Civile della Lucenti, dalla Compagnia Gli Scarti e dai Laboratori No Recess, mi è sembrato qualcosa di più della performance finale di un laboratorio o di una residenza teatrale, ed insieme qualcosa di diverso da un saggio di fine corso.
È una breve drammaturgia di cui sono protagonisti condivisi giovani delle scuole superiori di La Spezia e allievi dei laboratori attivi dall’Ottobre scorso, insieme a loro, ma quasi defilati, performers e attori con evidente maggiore spessore di esperienza, e che riesce però a mescolare con equilibrio e ad amalgamare, nel segno palese della ricerca della Lucenti ridefinita sugli ovvi limiti dei giovani in scena, coreutica, canto e drammaturgia della parola, una parola che pesca nell’espressionismo tedesco di inizio secolo.
L’ambiente scenografico, approntato già con maestria da Alessandro Ratti, è infatti quello di un cabaret weimariano di fine anni venti, segnato dal disincanto di un epoca di decadenza di cui Karl Valentin è divenuto una sorta di epitome. Lo stacco e la distanza che così si apre tra movimento e desiderio vitalistico e il senso di caduta che tutto circonda enfatizza dissonanze che vogliono smascherare le ipocrisie del nostro presente. Non a caso nel corso dello spettacolo l’attore “guida” dichiara, con un solo apparente paradosso, che il teatro, similmente alla Grecia classica, dovrebbe essere reso obbligatorio come la scuola.
Ma dove è la diversità di cui prima parlavo? È nel fatto che la drammaturgia, nella sua messa in scena non è stata solo uno spettacolo, con i suoi meriti ma anche i suoi limiti, ma è diventata una “festa”, nel senso pieno della parola e quindi una cosa molto seria in tutti i suoi risvolti anche economici, è diventata la festa di quel teatro e di quella comunità in cui è immerso, delle relazioni che ha stimolato e delle scoperte che ha promosso.
Il lavoro è stato curato, a mo’ di regia collettiva, da Enrico Casale, Renato Bandoli, Michela Lucenti, Manuela Serra, Giulio Spattini, Alessandro Ratti, Andrea Cerri e Damiano Grondona. In scena, uniti in un complimento collettivamente meritato, Michele Fedi, Andrea Burgalassi, Sofia Papadhopulli, Anna Pini, Giada Giudici, Isabel Tobia, Elena Brangi, Lisa De Giorgi, Marika Da Vinci, Lucrezia Silvio, Nicolò Cerreti, Giordano Putrino, Mary Dembech, Francesca Pesci, Ledio Meta, Margherita Roccabruna, Irene Alfano, Bartolomeo De Cola, Simone Benelli, Francesca Nieddu, Rossella Gallerini, Anna Ginepro, Matteo Di Somma, Michael Decillis, Federica Innusa, Marin Debatté, Elisabetta Ramaglia, Gabriele Luciani, Diana Dòra, Alessandro De Cesare, Francesco Ammendola e Damiano Grondona.
Il pubblico, numeroso ad ogni rappresentazione, si è molto divertito mostrando trasporto e talora entusiasmo.