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Mentre i tecnici del Teatro Stabile Mercadante di Napoli diramano il comunicato che descrive le loro difficoltà economiche e lavorative, abbracciando la disperata richiesta d’aiuto e la rivolta dei tecnici del Teatro Stabile di Catania, in questi giorni anche loro in scena a Napoli, gli attori dello spettacolo firmato da Giovanni Meola aprono la serata con la lettura delle parole di sconforto firmate dalle maestranze degli Stabili che riversano in queste condizioni. Testo adatto alla situazione, forse profetico perché scritto tre anni fa, IL GIORNO DELLA LAUREA, prodotto dal Teatro Stabile di Napoli, è in scena sul palcoscenico del Ridotto del Mercadante dal 26 aprile al 1 maggio. Lo stesso autore e regista interviene, a conclusione degli applausi, con un appello e con un accorato ringraziamento rivolto a tutti i tecnici che lavorano alacremente dietro le quinte, siano essi dipendenti

dello Stabile o collaboratori della compagnia VIRUS TEATRALI, perché costituiscono le fondamenta di una macchina indispensabile per realizzare uno spettacolo anche con due soli attori. Cristiana Dell’Anna ed Enrico Ottaviano, appunto, interpretano i due apparenti protagonisti di questa storia che, in effetti, ne nasconde un terzo, invisibile ma cardine fondamentale dell’intera vicenda. Dopo aver letto il testo, in tempi precedenti all’idea della messinscena, sembrava subito evidente che l’impatto violento con la conclusione potesse emergere sicuramente anche attraverso le sole parole. Ciò che però la lettura limitava, e che invece il palcoscenico finalmente completa e l’azione scenica evidenzia, è la natura predominante dell’intero discorso, ossia l’attesa. Il reiterare, il girare attorno ad una decisione, che ogni singolo spettatore avrebbe sicuramente intrapreso immediatamente, diventa il meccanismo di base dell’intero spettacolo. L’attesa, che in passato sembrava una reazione teatrale a ciò che era ormai decadente e decaduto, e che appariva come monito di speranza verso il futuro, qui diventa circolo vizioso improduttivo. Si attende il da farsi ma non si agisce. Attraverso una descrizione a tutto tondo della contemporaneità, soprattutto di quella italiana, questo spettacolo prende le mosse da immagini legate evidentemente al realismo, alla vita quotidiana, anch’essa routine opprimente e involutiva. Ricordando gli ambienti serrati ed alcuni elementi ruccelliani, pur lanciando un vago riferimento alla testualità del Teatro dell’Assurdo, i due protagonisti, marito e moglie, vivono la routine della decadenza italiana, sociale, culturale e soprattutto economica, attraverso dialoghi ironici, a tratti volutamente stucchevoli, durante i quali si appellano con diminutivi ipocriti – “mogliettina/maritino”-, elementi che trasformano la disgrazia quotidiana in una recita plastificata. La reazione alla decadenza, in questo caso quella di due coniugi quarantenni che trascorrono le loro giornate pagando le bollette alla posta, cercando di far quadrare i conti, riponendo i libri di un negozio fallito in scatoloni sparsi per la casa, è assolutamente inconcludente. Nessun altro elemento descrive l’abitazione, ambiente che sembra collocato in uno scantinato oscuro, serrato, caratterizzato unicamente da una radio e da una colonna che divide simbolicamente in due “tempi” il tavolo: presente e futuro. Una parte della superficie è, infatti, ricoperta da bollette e ricevute, l’altra è assolutamente vuota.  Il mondo esterno sembra lontanissimo e l’unico contatto con esso è rappresentato dalla cassetta della posta. Il figlio ventenne, laureando e simbolo della nuova classe dirigente, apparentemente elemento positivo e immagine di un futuro roseo, è assolutamente invisibile. Unico membro della famiglia collocato all’esterno della casa, comunica con i genitori attraverso una lettera, antico simbolo letterario e drammaturgico che contiene segreti, buone e cattive novelle. Una lettera, dunque, congiunge due realtà completamente ed inaspettatamente distanti: da un lato la famiglia asettica ed inerme, che vive nel ridicolo ricordo del passato, dall’altro il figlio che vuole cambiare il mondo ma diventa martire per salvare i genitori. Torna, ancora una volta, il tema del rapporto padri-figli, incessantemente presente all’interno delle pagine della drammaturgica contemporanea, soprattutto in quella meridionale: i padri sopravvivono ai figli e quest’ultimi, privi di passato, di futuro, ma anche di riferimenti al presente, decidono di morire. Emergono altre tematiche, dall’omologazione all’oppressione, fino alla comunicazione gestita attraverso filtri, non solo la lettera, ma anche la canzone-simbolo ed il  ricordo attraverso la foto, fino al rapporto edipico logorante. Il finale è spiazzante ed i commenti si alzano tra il pubblico sin dal momento in cui questi due genitori dimenticano il giorno della laurea del figlio. L’attesa sembra rallentare fino allo spasmo, per poi accelerare vorticosamente, fino a spingere il pubblico a pensare – e qualcuno ad esclamare! – che forse l’assurdità della non-azione, in questo caso portata simbolicamente ad estreme conseguenze, oggi potrebbe divenire pericolosamente consuetudine, anche all’interno di un nucleo apparentemente inscindibile, ossia la famiglia.

IL GIORNO DELLA LAUREA
Ridotto Teatro Mercadante
26 aprile-1 maggio 2016
testo | regia
GIOVANNI MEOLA
con
CRISTIANA DELL'ANNA
ENRICO OTTAVIANO
 scenografia
LUIGI FERRIGNO
costumi
ANNALISA CIARAMELLA
ass.te alla regia
NAPOLEONE ZAVATTO