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Bolzano 22 maggio 2016, Traum: una casa teatro accogliente e un padrone di casa sorridente Antonio Viganò. Traum è il luogo che dà vita ai sogni degli artisti del Teatro la Ribalta- Accademia Arte della Diversità.  La produzione teatrale, di questa compagnia è attenta alla scrittura e alle forme della diversità come luogo privilegiato dove riscattare e dare voce alle alterità mute, contro ogni forma di omologazione o normalizzazione sociale e culturale. Il progetto Accademia Arte della Diversità si pone obiettivi precisi: «Siamo un "teatro delle diversità" e non il teatro dei diversi. Diffondiamo teatro nei tanti luoghi che crediamo meritano di essere visitati e “svelati”, che possono nutrire la nostra voglia di

incontrare delle vite, che possono insegnarci a guardare con nuovi occhi.» Luogo ideale per discutere sulle tematiche del convegno. TRAUM in tedesco vuol dire sogno, infatti, nell’ingresso dello spazio teatrale, un grande cavallo accoglie i visitatori, è il cavallo che ogni bambino vorrebbe avere come giocattolo: un cavallo di legno si muove su delle piccole rotelle, ha occhi e orecchie di legno e saluta alzando una zampa: ingegnoso. Il teatro è luogo dei sogni ma anche dell’ingegno... Si riflette insieme, critici teatrali dell’ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro) operatori, educatori, registi; il tema di grande attualità “LA TIRANNIA DELLA NORMALITÀ” quale rapporto tra Teatro e Diverse Abilità? Al centro questioni etiche ed estetiche coinvolte in questa interazione. L’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro ha già affrontato questi argomenti ma in forme più occasionali e dialogiche, la Tavola Rotonda è l’occasione per un approfondimento articolato. La presenza nel direttivo, di Vito Minoia, direttore della rivista “Teatri delle Diversità” ha permesso un ulteriore passo in avanti in questa direzione. La rivista fondata da Vito Minoia ed Emilio Pozzi nel 1996 è nata con l’intento di interessarsi soprattutto ad attività teatrali “periferiche”, legate al disagio, al riscatto, agli artisti e alle compagnie che lavoravano con tenacia nelle periferie urbane, negli ospedali psichiatrici, nelle carceri, spesso con la coinvolgente, felice convinzione che proprio lì si trova una speciale energia creativa. Nel frattempo molte cose sono cambiate nel mondo teatrale e sono anche aumentate forme di esperienza, “senza norma”. E’ tempo quindi di approfondire ricerche, osservazioni, confronti che vadano in profondità con il contributo plurale di critici e artisti, studiosi, responsabili di compagnie, tutti coloro che vivono per scelta dentro le innumerevoli, variegatissime, multiformi “diversità”. La Tavola Rotonda di Bolzano, ha permesso di conoscere il lavoro sviluppato da Antonio Viganò e dagli artisti del Teatro La Ribalta. La sera del 21 maggio assistiamo allo spettacolo: PERSONAGGI che coinvolge varie tipologie di attori L’Accademia Arte della Diversità è un luogo speciale dove si cerca di abbattere barriere confini tra tirannie della normalità e indulgenze della diversità. Gli attori della compagnia, attori professionisti, attori di-versa-mente abili, esplorano un cielo fatto di costellazioni diverse, nei loro lavori si percorrono storie di indifferenza, pregiudizi, preconcetti nei confronti delle diversità. Il dibattito ha coinvolto protagonisti del settore come Alessandro Garzella (Animali Celesti Teatro d’arte civile) ed altri artisti già premiati dall’ANCT negli ultimi anni: Fulvio De Nigris dell’Associazione “Gli amici di Luca” (Premio ANCT al Teatro Paisiello di Lecce a novembre 2013 insieme a Babilonia Teatri); Piero Ristagno di Néon Teatro di Catania, (Premio Anct/Teatri delle diversità 2013); Mimmo Sorrentino (Premio Anct/Teatri delle diversità 2014). La Tavola Rotonda si apre con il saluto del Presidente dell’Associazione Nazionale dei Critici, GIULIO BAFFI (riconfermato nel proprio incarico), perché questa particolare attenzione al teatro delle diversità? Perché siamo testimoni di un cambiamento importante che sta influenzando i linguaggi e i comportamenti del fare teatro. La diversità come necessità poetica, questa è la grande trasformazione che si sta attuando e che si evidenzia in diverse parti d’Italia. Si apre una nuova visione, grazie al lavoro di molti operatori del settore, si aprono nuovi sguardi, nuove opere teatrali. La critica ha una responsabilità: comprendere questo cambiamento, questa trasformazione. Capire come leggere e interpretare questi nuovi linguaggi. Il teatro risponde ai bisogni del tempo, il teatro è il luogo del possibile, dell’incontro, degli incontri. La critica oggi ha un compito difficile saper vedere questi nuovi possibili incontri.
ANTONIO VIGANÒ interviene per racconta l’esperienza del Teatro La Ribalta, un’esperienza che va controcorrente rispetto ai modelli contemporanei siamo in una società narcisistica e edonistica una società veloce che lascia indietro molte persone, il Teatro La Ribalta ha un obiettivo preciso, raccontare le storie di chi resta indietro, costruire una poetica della vulnerabilità. Con la consapevolezza che la vulnerabilità non riguarda solo la diversità ma l’intera umanità troppo spesso dimentichiamo la nostra vulnerabilità in quanto uomini e donne in cammino. Tutto questo che cosa c’entra con il teatro? Tutto questo c’entra eccome, perché il teatro, da sempre, racconta la malattia e la mostruosità, la vulnerabilità. I corpi poetici del Teatro La Ribalta sono tutti attori professionisti che studiano e si esercitano anche otto ore al giorno che provano e riprovano un passo, un’espressione, un verso ...Si punta ad un progetto artistico di qualità, senza praticare indulgenze forme compassionevoli, ma solo teatro con attori di-versa-mente abili. Antonio Viganò precisa che La Ribalta non è un luogo di amorevole protezione, è un gruppo di lavoro (costituito da Italiani, Tedeschi, Ladini) che vuole rompere le barriere mentali, che offre «una visione, una poetica, una concreta “utopia”...ci aspettiamo che il teatro ritrovi la sua vocazione politica, sia capace di rompere barriere, superare i limiti, essere inclusivo, aperto a mondi diversi e luogo privilegiato delle visioni e della critica sociale» Quale sarà il ruolo dei critici teatrali in questo contesto? A questa domanda risponde ANDREA PORCHEDDU, scrittore e critico teatrale racconta l’esperienza condotta con un gruppo di studenti dell’università La Sapienza di Roma; analizzando diverse recensioni si è cercato di capire come reagisco i critici rispetto alle diverse forme di teatro sociale: in generale tendono a soffermarsi maggiormente sull’aspetto emotivo, sulla sofferenza di un attore carcerato, sui suoi tatuaggi...sulle espressioni di un disabile, sul suo disagio, sull’empatia che ne scaturisce, senza guardare la qualità dello spettacolo. Questo è un “disagio” per il lavoro del critico una “disabilità” non si riesce ad andare oltre le semplici emozioni. Il critico deve adottare strumenti opportuni per comprendere meglio queste forme poetiche, queste suggestioni, per decifrare meglio i codici di queste nuove tipologie teatrali. Il teatro della diversità ci permette di riflettere sull’alterità come sottolinea anche Marco De Marinis nei suoi scritti, perché ogni forma teatrale in quanto tale parte sempre da una relazione identità/ alterità. Qualsiasi forma teatrale è rito, gioco, festa, alterità nella diversità. Questo dovrebbe spingerci a soffermarci sul fatto teatrale piuttosto che su le storie personali di chi lo realizza ma, secondo Andrea Porcheddu, ciò non basta: occorre dotarsi di strumenti adatti, la ricerca è solo agli inizi.
Secondo la visione di ALESSANDRO GARZELLA siamo al centro di un uragano, qualcosa sta cambiando è un cambiamento che in parte ricorda quanto accaduto nelle avanguardie teatrali che sovvertivano il teatro tradizionale. Adesso ci troviamo di fronte a una nuova tipologia teatrale un nuovo teatro di regia, dove però il regista assume un punto di vista di-verso, il punto di vista di chi sa cogliere il valore della diversità a teatro; questo nuovo teatro di regia lavora su corpi poetici di-versi che comunicano con altre modalità, occorre mettere in campo una semiotica dei corpi ma senza lasciarsi prendere dalla pietà, dal senso di smarrimento. L’obiettivo principale rimane sempre il senso drammaturgico il movimento drammaturgico che deve comunicare un senso e che deve comunque funzionare. Alessandro Garzella ha alle spalle una lunga esperienza di laboratori di ricerca artistica sulla devianza, sulle forme di sofferenza e degrado sociale. Il progetto della sua associazione teatrale ANIMALI CELESTI aggrega artisti e educatori che vogliono condividere le azioni creative di un'esperienza umana e professionale di produzione, di militanza e di ricerca espressiva sulle forme di alterità, a partire dai disturbi del comportamento e della devianza mentale. PIERO RISTAGNO della compagnia NEON non ha dubbi, il disabile in scena ha una sua verità da raccontare che spesso risulta più vera di un artista “normale” paradossalmente l’handicap più diffuso è proprio la dimensione della normalità che ci impedisce di acquisire uno sguardo vero su ciò che si vuole raccontare. Occorre spostare il centro e abbandonare l’idea che il pubblico non sia preparto a questi tipi di spettacoli. Racconta l’esperienza del suo MAGNIFICAT a Taormina che ha riscosso proprio grande successo di pubblico.
Prende la parola MIMMO SORRENTINO che da molti anni porta nei luoghi più diversi lontano dalle platee centrali il suo teatro partecipato basalto sull’”osservazione partecipata”. Un teatro che nasce dalle storie di chi partecipa ai suoi laboratori. Che cosa significa teatro sociale, civile, teatro delle diversità? Anche lavorare con i vigili del fuoco, con gli alpini può aiutare a comprendere una condizione di diversità ognuno è diverso rispetto a un altro: il teatro è rappresentazione di alterità. Alla critica chiede di esprimere senza riserve che cosa pensa di quel fatto teatrale, come valuta gli artisti in scena, se raccontano qualcosa che può avere un significato per lo sguardo degli altri. Sorrentino si sofferma a raccontare l’esperienza condotta con un gruppo di detenute del carcere di Vigevano. Un’esperienza che si è trasformata in spettacolo teatrale rappresentato diverse volte attirando un pubblico di oltre duemila spettatori grazie semplicemente al passaparola. Sorrentino ha lavorato con ragazzi diversamente abili, ma il modo di relazionarsi è sempre lo stesso: «sono lì per fare teatro e per divertirmi. Se devo chiedere una performance la chiedo, se devo arrabbiarmi mi arrabbio non faccio terapia, non curo una patologia, sono lì per fare teatro. Certo, quando sono in contesti particolarmente protetti, mi preoccupo più di loro che del pubblico che verrà a vedere lo spettacolo. Sto attento a che le mie richieste siano realizzabili e adeguate alle loro potenzialità, ma conto sulle loro potenzialità e risorse. Sto attento soprattutto ad un aspetto: a non creare forme narcisistiche della loro patologia» Racconta infine l’esperienza condotta con l’associazione “Gli Amici di Luca”. L’associazione ha come finalità l'integrazione sociale, la riabilitazione delle persone con esiti di coma e la sensibilizzazione della società al problema. Il percorso intrapreso parte dall’utilizzo del teatro in situazione terapeutica per arrivare a produzioni artistiche dotate di una propria poetica, che nasce dalla peculiarità della composizione del gruppo.
FULVIO DE NIGRIS direttore dell’associazione citata, interviene per sottolineare la necessità di comprendere il processo che conduce ad un evento teatrale, conoscere il processo consente di comprendere meglio quel prodotto. La critica teatrale deve partire da una conoscenza dei percorsi nel caso delle rappresentazioni teatrali che impegnano i diversamente abili può essere molto utile una documentazione sui processi.
ALESSANDRO TOPPI (dirige e scrive per il webmagazine Il Pickwick, collabora con la rivista Hystrio è presente anche il direttore responsabile della rivista, CLAUDIA CANNELLA), interviene per raccontare le sue esperienze di critico teatrale che l’hanno portato a seguire i processi teatrali di alcune associazioni che lavorano in realtà napoletane difficili come le Donne di Forcella di Marina Rippa si raccontano storie di emarginazione sociale, di violenze di soprusi, non sempre si va in scena. Il critico lavora anche sui processi non solo sul prodotto. Si segue si osserva, si comprendono mondi diversi. A conclusione dei lavori si riflette insieme sul concetto di DELICATEZZA, introdotto da CLAUDIA PROVVEDINI giornalista critico teatrale già redattore del Corriere della Sera: lavorare con persone diversamente abili comporta necessariamente una conoscenza sulle loro possibilità, sulla loro sensibilità. Tutti i registi concordano sulla necessità di assumere uno sguardo delicato e una forma di protezione essendo questi attori meno strutturati di altri si cerca di proteggerli ma senza cadere nel pietismo, nel narcisismo della patologia, si cerca la verità che è il compito fondamentale di ogni fatto teatrale, di ogni evento scenico. Resta aperta la domanda: quale sguardo critico? Quali strumenti. La ricerca è agli inizi come sottolineava Giulio Baffi, il cammino è lungo ma necessario. Ci rifletto anche dopo il convegno. E penso alle nostre realtà scolastiche così intensamente ricche di esperienze di integrazioni, penso anche allo sguardo dei bambini, sincero, senza pregiudizi, anche crudele se necessario che sa dire con franchezza cosa funziona e cosa no. Gli occhi dei bambini vedono il mondo con un’innocenza che non fa distinzioni, non crea pregiudizi e non alza barriere. Mi viene in mente un filmato diffuso da un’associazione francese, NOEMI. Si mettono alla prova genitori e figli in un gioco educativo dal finale a sorpresa. Seduti davanti a uno schermo, mamme, papà e figli vengono invitati a riprodurre le smorfie degli attori. Un piccolo pannello li separa in modo che non possano vedere quello che fa l’altro. Si divertono entrambi a sgranare gli occhi, storcere la bocca, finché sul video appare una ragazza disabile che fa una smorfia e mette un dito nel naso. E’ in questo momento che si avverte la distanza fra il mondo degli adulti e quello dei bambini. Mentre i genitori, si fermano imbarazzati di fronte alla disabilità, i bambini, invece,  continuano a giocare: per loro non c’è alcuna differenza tra la smorfia di un adulto e quella di una bambina disabile. Per loro la disabilità è una normalità. Il messaggio lanciato dall’associazione Noemi con il video “The eyes of a child” è un esempio efficace di come la società guarda il diverso. C’è molto da imparare. Anche i critici possono imparare qualcosa dai bambini. Di fronte a queste nuove realtà teatrali si può studiare rispettando il loro mondo, la loro alterità, proprio come inconsapevolmente fa un bambino. Essere critici con gli occhi del bambino che è in noi, fare un passo avanti: tornando indietro nel tempo. Una bella sfida.

Bolzano 22 maggio 2016
Tavola rotonda promossa da Teatro La Ribalta- Accademia Arte della Diversità e ANCT (Associazione Nazionale Critici di Teatro) in collaborazione con la Rivista “Catarsi-Teatri delle diversità”