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Ci sono quinte di carta, di legno, di velluto, di telo oscurante di plexiglas (ultimi modelli) e ci sono quinte modeste, semplici che riservano sorprese che suscitano stupore. Sono le quinte da cui escono i Sei Personaggi di Antonio Viganò, non sono solo in cerca di un autore sono in cerca di un pubblico, di qualcuno da salvare. Sei attori che stupiscono, che si stupiscono e che trasmettono agli spettatori un senso di straniamento e il desiderio di mondi altri. Sono gli attori del teatro di Antonio Viganò che ha dato vita, per la prima volta in Italia, ad una compagnia costituita da uomini e donne provenienti da mondi di-versi. Grazie anche all’inventiva di Michele Fiocchi con cui collabora da anni, Viganò,

ribalta l’idea di teatro dando origine ad una poetica originale: una gestualità che si fa parola attraverso la danza, una scrittura drammaturgica contemporanea che affronta tematiche di spessore sociale, un’opera di ricerca costante. A Bolzano dal 2009 con il suo Teatro la Ribalta promuove la rassegna "Arte della Diversità" e nel 2013 l’associazione diventa una cooperativa sociale "Accademia Arte della diversità - Teatro la Ribalta". Nasce così la prima compagnia teatrale professionale costituita da artisti in situazione di "handicap" che hanno scelto, dopo un percorso di studio, formazione e spettacoli, durato otto anni, di diventare attori e attrici professionisti. uomini e donne che, nonostante abbiano uno statuto da soggetti “svantaggiati”, possono svolgere la loro attività di attori e danzatori in forma professionale. In occasione della Tavola Rotonda tenutasi a Bolzano, “TIRANNIA DELLA NORMALITÀ” Antonio Viganò racconta il percorso degli attori della sua compagnia: «Lavorano ogni giorno dalle cinque alle otto ore, fanno spettacoli, laboratori, formazione e tournée in Italia e all’estero, come una qualsiasi compagnia teatrale. Sono iscritti all’Enpals e hanno statuto e salario adeguato. Siamo gli unici, in Italia, ad aver raggiunto questo risultato. Adesso ci assumiamo la responsabilità di fare teatro chiedendo di essere giudicati e guardati per quello che facciamo e non per quello che siamo. Una bella scommessa e la fatica di dover essere “bravi” due volte: la prima per abbattere le barriere dei i pregiudizi che accompagnano le persone disabili, la seconda per fare un lavoro di qualità artistica. Ci vuole un po’ di tempo perché lo spettatore dimentichi la “condizione sociale” degli attori che vede in scena, noi non facciamo terapia facciamo teatro l’unica vera terapia che facciamo riguarda il nostro pubblico, perché gli chiediamo di modificare il suo sguardo» Parlando di TIRANNIA DELLA NORMALITÀ la sera del 21 maggio nello spazio Traum di Bolzano, assistiamo allo spettacolo PERSONAGGI con la regia di Antonio Viganò, ispirato all’opera di Pirandello. I movimenti coreografici determinati e in grado di restituire la fragilità dei Personaggi sono curati da Julie Stanzak, danzatrice storica del Tanztheater di Pina Baush, da più di dieci anni, tiene seminari in Italia, Francia, Germania e dal 93, lavora come coreografa presso il Teatro La Ribalta di Bolzano. La prima cosa che mi colpisce di questo spettacolo è la presenza scenica degli artisti, vanno nominati tutti per bravura e sensibilità Michele Fiocchi, Rodrigo Scaggiante, Daniele Bonino, Lorenzo Friso, Maria Magdolna (Marika) Johannes, Michael Untertrifaller, Mathias Dallinger. In modo particolare desta stupore per la gioia e la delicatezza del corpo la giovane Marika nella parte di una messaggera vestita di azzurro, una piccola fata, che accoglie su di sé le nostre stupidaggini quotidiane per ricordarci che chi è diverso ha un sorriso come tutti, ha gli occhi come tutti, sa dare schiaffi come tutti...Un attore in scena prova e riprova pagine di Shakespeare è preso dal suo ruolo, dalla sua maschera, è preoccupato di far bene, sogna la gloria, ma ecco che i suoi sogni si spezzano entrano in scena sei personaggi: un uomo anziano, un uomo di colore, un ragazzo su una sedia a rotelle, una ragazza, un ragazzo, un uomo maturo: cosa cercano? La verità. Frasi come flash piccoli monologhi, dialoghi ridotti all’essenziale ma data la bravura degli attori in scena si potrebbe tranquillamente affidargli anche di più. Lo spettacolo di Antonio Viganò partendo dall’idea pirandelliana delle maschere e delle forme, esplora i temi contemporanei della diversità dell’indifferenza, del cinismo nei confronti di ciò che ci è estraneo. Scena completamente nera e uno specchio in cui il pubblico può specchiarsi perché quello che accade lo riguarda da vicino, fa parte anche della sua vita. La poetica scenica di Antonio Viganò parte da questa parola: vita; volontà di creare vita, una fame di vita: forza, ritmo, movimenti grazie alle metaforiche coreografie di Julie Anne Stanzak. L’intento non è solo quello di riprodurre semplicemente la realtà ma entrare in una sorta di realismo magico che regala allo spettatore qualcosa di intenso con una molteplicità di significati di tensioni di divaricazioni  logiche e sistemi autonomi, uno spettacolo che può andare in molte direzioni grazie anche alla forza espressiva degli attori. La regia come rinnovamento estetico come riscatto sociale e culturale. Ritroviamo in questa dimensione temi sociali di Pirandello ma anche la dimensione di un realismo magico, i principi scenici di Peter Brook l’elemento umano e l’umanità, il teatro come spazio vuoto come rimozione “rimuovere tutto ciò che non è strettamente necessario e intensificare ciò che rimane” il qui ora del teatro diventa una dimensione filosofica. La ricerca teatrale di Viganò è anche un’alternativa di vita, soffermare i nostri pensieri persi nell’inutilità su ciò che veramente conta. Scena finale: Mathias Dallinger, si avvicina al pubblico: ride il suo volto, il suo corpo, ridono le rotelle della sua sedia, al microfono recita alcuni brani di Pirandello per ricordarci che noi viviamo nelle forme che gli altri ci danno che siamo imprigionati in una baracca costruita non solo dagli altri ma anche da noi.  Ecco la scena si chiude sulle tracce di corpi che una volta erano uomini e donne. Impronte che rapidamente saranno cancellate; come le tracce di storia dei migranti, di chi è straniero, diverso, vengono rapidamente cancellate dalla nostra memoria, dai nostri file, dai nostri WhatsApp. Alla fine che fare? Dare un calcio a tutta la baracca. Direbbe Pirandello. Lanciare pietre in aria, conversare con esse, suggerisce la poetica della regia e così fanno gli attori, fra un movimento ritmico e l’altro.
Penso, allora, ad una poesia di Wislawa Szymborska (“Conversazione con una pietra”) che parla ai nostri cuori di pietra: «Busso alla porta della pietra. Sono io, fammi entrare. – Non ho porta – dice la pietra» Il teatro di Viganò bussa alla porta dei nostri sguardi. Lasciamolo entrare faremo un viaggio anche dentro di noi.

Bolzano 21 maggio 2016