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Il bilinguismo è un’arte, la lingua della madre, la lingua del nuovo mondo, colorano la realtà e le regalano sfumature diverse. Se capissimo questo, se comprendessimo a fondo la bellezza che c’è nel plurilinguismo, saremmo tutti più ricchi culturalmente. Questo, il senso del monologo scritto e interpretato da Aleksandros Memetaj (Argot Produzioni) che racconta un pezzo di storia albanese ma anche momenti di vita di un uomo e una donna: due immigrati che fuggono dalla disperazione. Il testo, con bellezza e ironia, svela il dolore e il sacrificio di chi è costretto ad abbandonare la propria terra. Scena nuda, senza ausilio di musiche, senza particolari effetti luci, Memetaj affascina gli spettatori, la pura

parola diventa di volta in volta metafora, prosa, poesia. È questo il merito di uno spettacolo che riesce a far sorridere e a commuovere. Sfumature linguistiche venete, italiane, albanesi, che arricchiscono il racconto. Il viaggio ha inizio e si comprende bene che la terra natia non è solo il luogo in cui nasciamo ma è anche il luogo in cui la lingua partorisce bellezze, come in questo caso. La regia minimalista di Giampiero Rappa sa rendere al meglio pochi gesti scenici: una felpa diventa il corpo di un bambino, un braccio sollevato, un traghetto che finalmente arriva in porto. In questo caso il porto di Brindisi. Nel racconto si incrociano fatti storici realmente accaduti. In seguito agli sbarchi del 1991 l’Italia scoprì di essere una terra promessa per migliaia di Albanesi. Nel porto, a bordo di navi mercantili e di imbarcazioni di ogni tipo, arrivarono più di ventisette mila migranti. Fuggivano dalla crisi economica e dalla dittatura comunista. Un esodo biblico, il primo verso l’Italia. Dopo la morte di Enver Hoxha nel 1985 e la caduta del muro di Berlino nel 1989, nelle principali città albanesi: Tirana, Durazzo e Valona, divamparono i movimenti politici che chiedevano il diritto di viaggiare fuori dallo stato. Migliaia di persone cercavano di scappare verso l’Occidente partendo dai porti di Valona e Durazzo con navi, pescherecci e gommoni diretti verso l’Italia. Tra questi anche Alexander Toto, trentenne, che scappa da Valona a bordo del peschereccio “Miredita” (buongiorno) e giunge a Brindisi, sullo stesso peschereccio anche Aleksandros Memetaj un bimbo di 6 mesi. I destini di Aleksandros Memetaj e Alexander Toto, si incrociano più volte nella storia, fino creare un’unica vicenda: l’uno diventerà il figlio e l’altro il padre. Il secondo spettacolo della rassegna INNESTI regala queste riflessioni in un momento storico in cui si fatica a trovare un senso di comunanza per comprendere che il mondo non è fatto solo di stranieri ma di persone che hanno bisogno di relazionarsi fra di loro nella dimensione dell’empatia e non solo in quella del consumo e delle autostrade informatiche. Il teatro diventa così un momento di formazione permanente, interculturale. Per questo motivo la rassegna INNESTI è di grande attualità, infatti, il numero di minori stranieri ricongiunti o nati in Italia, da genitori stranieri, è sempre più alto e pone nuove difficoltà e obiettivi da affrontare, in vista di una piena integrazione. L’approccio teatrale garantisce  un momento di studio e arricchimento. Questi adolescenti di seconda generazione, a cui è dedicata la rassegna, rappresentano parte del futuro dell’Italia, sono portatori di culture e forme di pensiero che si distaccano da quello occidentale, essi spesso vivono, un disorientamento e un senso di non appartenenza rispetto ai due mondi culturali e linguistici: quello di provenienza e quello di accoglienza. Il nostro orizzonte culturale sarà sempre più planetario uscire dai confini delle nostre case è un impegno narrativo, il teatro, in questo caso, fa la sua parte.

Milano, Teatro Menotti, 21 giugno 2016