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Il “Festival in una notte di Estate” dei genovesi di Lunaria Teatro che da qualche anno illumina le strette vie del centro storico del Capoluogo ligure, ci ha offerto questo 20 e con questa drammaturgia di Julia Kristeva, quasi un sovra-regalo che nasce dall’amore per la cultura, un luogo affascinante e ricco di sottili suggestioni come le navate della piccola chiesa di San Matteo, subito dietro Piazza De Ferrari nei luoghi che furono lo splendore dei Doria. Un luogo non solo suggestivo ma che enfatizza le tensioni sonore di uno spettacolo che di Santa Teresa D’Avila ci parla, ma non solo, perché a mio parere ci parla soprattutto di una ricerca interiore che tutti ci riguarda, quella ricerca che amalgama l’interiorità soggettiva con il calore di un mondo affettivo che impregna natura e cultura, lo spirito singolare e la storia che si dipana nei secoli. Una ricerca che ha al suo centro

l’amore, come unica ed essenziale forza per mescolare fisicità e spiritualità riscattandole entrambe, anzi riscattandole una nell’altra nel segno di un desiderio radicato nel profondo di ciascuno di noi.
Questa paradossale concretezza che in Teresa assume il percorso mistico, vissuto come un dialogo tra sé stessa, pur isolata nella clausura, e il mondo intero ed il suo popolarsi di soggettività, ha il suo centro coerente nella sua profonda percezione della femminilità e nel particolare punto di vista che questa percezione le consentiva.
Teresa infatti è anzitutto una donna ed ogni nostra considerazione intorno ai suoi scritti, intensi e fiammeggianti di un amore incombusto per l’umanità che si specchia nel Cristo “carne comune”, e al suo pensiero non può da questo prescindere.
Come in Rosvita, la Monaca drammaturga di tanti secoli prima, lo sguardo femminile diventa essenziale per indagare l’amore che lega il mondo con l’eterno, proprio perché trascendere il proprio essere corpo è per loro, naturale tramite della vita, non un annullamento ma una legittimazione del corpo stesso, una legittimazione che “legittima”, mi si consenta il gioco di parole, anche la parte maschile di una umanità che di donne e uomini è fatta.
Carla Peirolero è una intensa Teresa D’Avila, una immagine che quasi si sovrappone, mentre si aggira tra navate e colonne con quella sua voce intensamente impastata mentre la brava Roberta Alloisio la accompagna con il canto che si espande verso le volte ricurve sospinta dai fiati di Mario Arcari. La regia di Enrico Campanati dà la giusta misura alla  drammaturgia di Julia Kristeva che può travolgere per la sua forza la stessa sintassi scenica.
Un bello spettacolo che apre una stagione interessante, anche quest’anno organizzata da Daniela Ardini.
Una brevissima notazione per concludere. Ho accompagnato una amica non vedente e mi ha colpito come, nonostante il luogo e il soggetto della serata, una parte del pubblico preferisse accalcarsi per meglio posizionarsi piuttosto che favorire quella mia amica mentre cercava di sedersi. Tant’è…