Visite: 3587

Ingannano i due leggii sul palcoscenico che potrebbero far pensare a un reading di avanscoperta, prova preliminare per sondare le potenzialità di un testo inedito, tirato fuori dal cassetto di uno scrittore che ci ha lasciato da poco. In realtà Ombre folli, scritto da Franco Scaldati nel suo palermitano crudo e poetico, è già diventato uno spettacolo compiuto, perfetto nel suo rigore senza fronzoli, commovente e delicato. Interpreti e 'traduttori' Enzo Vetrano e Stefano Randisi che di Scaldati già portarono magistralmente in scena quel surreale affresco che è Totò e Vicé, Ombre folli è stato presentato il 21 settembre scorso al Teatro India di Roma nell'ambito della XXIII edizione di Garofano Verde, la rassegna di

teatro omosessuale curata da Rodolfo di Giammarco, a cui si deve la scelta di portare in teatro questo inedito.
Le ombre del titolo sono quelle di due uomini che si raccontano senza autocensure, come rivolti soltanto a se stessi, riannodando le fila di una vita che si agita dietro le quinte di una normalità apparente, non meno e non più castigata di altre.
Il primo ha la passione di travestirsi, con tutti gli annessi del caso compresa la maestria nel fare pompini. Una passione segreta che tanto segreta non è, visto che il piacere raggiunge il suo culmine nell'agnizione.
Il secondo dice di amarlo come un figlio e lo tiene sequestrato nell'illusione di redimerlo.
Ma non si tratta di una dialogo tra due ombre-personaggi bensì di due monologhi che si rispecchiano l'uno nell'altro, due vite diverse alle quali i due attori non vogliono rinunciare.
Per questo la scelta non è quella prevedibile di distribuire i due ruoli, ma quella estremamente poetica di viverli entrambi, avviando un concerto per voce in cui i versi meravigliosamente scabrosi di Scaldati vengono detti da uno e subito ripresi dall'altro, magari afferrati per le ultime parole, tradotte per noi.
Il risultato è un rosario eretico che snocciola pietre preziose di rara bellezza incastonate su un pentagramma rigorosissimo e l'impressione è quasi quella di un dialogo a due in cui la risposta non è che l'esplicitazione della domanda, la sua mesta e ineludibile accettazione.
C'è nello sguardo dell'autore una pietas che commuove, una tenerezza che rende sublime la dannazione e la restituisce in quella lingua che è ad un tempo dolce e aspra, cristallina e untuosa, profumata di gelsomini e mefitica come 'sborra'. In cui parole come 'garruso', 'minchia', 'pompino' si sciolgono e trasfigurano in mezzo agli oleandri, quando 'il sole impallidisce mutando in luna', sotto un cielo coperto di stelle.
Ma è proprio lì, con gli occhi al cielo e i piedi nel fango, che abitano i poeti e i loro amanti ostinati.

OMBRE FOLLI
Testo inedito di Franco Scaldati
Detto e tradotto da Enzo Vetrano e Stefano Randisi