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Nulla è come appare. Due trent’enni si incontrano per strada, destini, ceti sociali diversi e una canzone in comune: Hey Jude. Come nel romanzo di Kerouac, la strada è il luogo della sfida, del viaggio interiore, metafora di libertà e di conoscenza ma anche di rivolta verso una società che riconosce l’individuo unicamente come consumatore. Jack e Paul sono testimoni di una generazione annoiata, che oscilla fra il desiderio di follia e il senso di responsabilità, alla ricerca del cosiddetto “vero io” (sempre ammesso che esista realmente); smarriscono la strada e si incontrano ai confini di un bosco. I due trent’enni appaiono stanchi e demotivati incapaci di cambiare i loro piccoli percorsi individuali: uno

deve sposare la donna che non ama, l’altro non ha ancora deciso che lavoro fare...persi nelle proprie narcisistiche vite, incapaci di guardare realmente il mondo. «È la generazione di chi ha fallito perché si sente inutile, perché non sa realizzarsi, perché non in linea con la propria collocazione sociale. È stanca di tutto, proprio per l'ansia di voler vivere una propria vita e non quella imposta dalle convenzioni sociali». Jack e Paul consapevoli di questo, affrontano il loro incontro come una possibilità che la vita gli offre per comprendere quello che sta accadendo. Le tematiche sono affrontate con ironia e comicità dall’autore, i dialoghi serrati e spiritosi, le situazioni al limite della follia, rendono la pièce scorrevole e piacevole, qualche piccolo taglio nelle scene finali avrebbe reso ancora più dinamica la corsa verso il finale a sorpresa. I video di scena di Cristina Crippa ispirati all’iconografia giapponese, teneri ed efficaci nei colori, in contrasto con il mondo complesso dei personaggi, come a dire: la natura ha sempre qualcosa da insegnarci, occorre tuttavia saper vedere. La regia conduce il testo attraverso una serie di sequenze filmiche: una foresta, una città, una villa... resi scenicamente in una prospettiva multimediale che arricchisce e completa la rappresentazione con strumenti e sconfinamenti nell’immaginazione: un’osmosi emotiva fra attori e spettatori. La poetica della regia si basa su pochi simboli scelti con cura che accompagnano una parola scenica molto ricca, riuscendo a suscitare nel pubblico una complicità vivace. Una serie molteplice di scatole magiche ci conducono alla verità oltre l’apparire. Nulla è ciò che appare, il personaggio che apparentemente sembra forte e razionale, in una condizione di vita ideale, svela un mondo di debolezze e infelicità. Raphael Tobia Vogel, per questa sua prima regia teatrale, dopo diverse esperienze cinematografiche, sceglie un testo inedito e compie una tenera magia filmica anche sulle tavole del palcoscenico. I due attori Francesco Brandi e Francesco Sferrazza Papa, si alternano egregiamente e rendono in modo convincente i loro universi metaforici. Vivaci, teneri, sognanti, sono i nostri fragili figli. Sempre in altri luoghi sempre pronti a partire, sempre in viaggio, eppure in nessun luogo... glielo abbiamo insegnato anche noi. Noi nell’epoca dell’importante è partire, noi nell’epoca dell’io, che ad ogni costo deve compiersi, realizzarsi. E se invece l’importante fosse restare, accettare le incompiutezze e i limiti del nostro vivere? E, perché no, i nostri fallimenti? Hey Jude ci dice proprio questo: “Non essere pessimisti, prendi una canzone triste e falla migliore...”. Troppo semplice si potrebbe dire ma la semplicità è il traguardo più difficile da raggiungere.

Milano, Teatro Franco Parenti, 1 ottobre 2016

Foto Cristina Crippa