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“Thàlatta, Thàlatta…” gridavano e desideravano i greci di Senofonte, dispersi tra i monti aspri dell’Asia Minore dopo la disastrosa campagna persiana. Un grido che era anche una ambizione per chi, proprio sul mare, aveva sconfitto la protervia e la potenza degli imperatori iranici. È stato questo, il mare appunto, l’oggetto della interessante conferenza di Giorgio Ieranò e Luciano Canfora al teatro Duse di Genova, primo appuntamento di un ciclo che comprende cinque incontri da qui al 14 novembre, di lunedì. Con loro una intensa Elisabetta Pozzi ha recitato brani dei grandi tragici greci. Una conferenza con un approccio a due facce, estetico o se vogliamo psicologico/esistenziale quello di Giorgio Ieranò,

storico e politico invece quello di Luciano Canfora, per quanto si possa scindere, e forse non si può fino in fondo, una narrazione in scena che ha per suo oggetto il mistero e del mistero il simbolo più antico e profondamente radicato nella nostra cultura e nel nostro stesso immaginario.
Dal primo percepiamo che in fondo i Greci diffidavano del mare, luogo dell’incertezza e dell’infinito, luogo che celava pericoli e nemici, mostri e dei infuriati, ma anche luogo primo di ogni affermazione di vita e di riscatto. Un mare gravido di simbologie, solo accennate dallo studioso, a partire dalla memoria di quel liquido amniotico che avvolge e custodisce il nascere della vita, e poi dalla metafora dell’inconscio che circonda e impone le nostre azioni. Sullo sfondo un’altra suggestione, quella del mare come simbolo dell’indistinto da cui emerge, nel processo di individuazione, l’individuo, l’essere umano come esserci singolare.
Quindi il mare anche come spinta, nerbo e sfondo alla nascita della democrazia, come ha poi argomentato Luciano Canfora che proprio in relazione al mare individua la legittimazione di quel regime politico che caratterizzò l’Atene del periodo aureo. Il mare ed il regime democratico che appunto gli uomini di mare (marinai e costruttori) imposero alla lega raccolta intorno alla metropoli cinta di mura, e alla base di entrambi la vittoria di Temistocle a Salamina a fondare ogni diritto o pretesa di egemonia.
Una parallelo suggestivo, cui fa da contraltare la tendenza alla oligarchia dei contadini e della nobiltà ancorata alla terra, mentre sullo sfondo la forza della Persia determina l’ascesa o la disfatta delle diverse città greche. Un mare dunque anche come luogo delle contese, perenne campo di battaglia di guerre infinite, da Troia in giù.
Così il mare, a partire da Odisseo, innerva l’immaginazione e l’arte tragica di Atene, fecondandone l’identità e traslandone il racconto sulla scena, mai diretto, piuttosto sempre in forma di messaggio riportato, quasi un sogno che ci circonda e determina vittorie e disfatte, dai Persiani di Eschilo all’Ippolito di Euripide.
Una iniziativa encomiabile riprendere questi appuntamenti, che ci erano mancati, da parte dello Stabile di Genova, una iniziativa che risponde a una richiesta forte da parte del suo pubblico che ha affollato la sala all’esordio del 10 ottobre.