Pin It

C’erano una volta due fratelli che vivevano in Sicilia e si amavano con un odio feroce. Perché l’odio è un amore dettato da una condizione di vita crudele che, nonostante due opposti punti di vista, deve essere vissuta. La Sicilia di MUTU, spettacolo di Aldo Rapè, con la regia di Lauro Versari e la presenza in scena dello stesso Rapè e dell’attore e cuntista Gaspare Balsamo, torna a Napoli in una location inconsueta. Il Salon Baires di Riviera di Chiaia ospita per una sola replica-evento, il 23 ottobre, lo spettacolo prodotto dalla compagnia siciliana PRIMAQUINTA, insignito del Premio del Festival di Avignon OFF 2012 come Miglior Spettacolo Straniero e selezionato per l’Italian Theater Festival

2014 di New York. Il pubblico napoletano, gremito e sorprendentemente commosso, assiste silenzioso al racconto di vita dei due fratelli, Saro e Salvuccio, divisi dalla stessa mafia, da una cultura provinciale, da una famiglia dissestata. Ancora una volta la nuova drammaturgia del Sud ripropone una famiglia sbilenca: il padre mafioso e osannato dalla gente, la madre costretta alla prostituzione, tanti figli in cerca di un obiettivo di vita, quello malavitoso appunto, perché ritenuto unica possibilità di sopravvivenza. Ciò che emerge, stavolta, a differenza di altra drammaturgia prodotta al Sud negli ultimi anni, è la presenza preponderante dei personaggi “figli” che, ancora una volta, non sopravvivono ai tempi. I genitori, ancorati ad un passato arcaico, putrefatto, lurido, ad una Sicilia del passato, ma non del tutto scomparsa, sono immagini sfocate, raccontate e descritte dagli stessi figli. Quest’ultimi marciscono in putride convinzioni, impresse nella loro mente da due poteri supremi, la mafia e la Chiesa. Lo spettatore, in effetti, non riesce a schierarsi con uno dei due personaggi perché entrambi portano avanti motivazioni del tutto valide, se intese attraverso un punto di vista specifico ed un’esperienza personale. Il dialogo serrato tra i due, nonostante Salvuccio sia il personaggio più silenzioso, si articola attraverso uno schema molto semplice: il bussare alla porta, l’ambiente serrato invaso dal personaggio che proviene dall’esterno, il racconto di vita a ritroso, il climax ascendente verso una certa tensione emotiva e fisica, lo scioglimento finale, inevitabilmente tragico. Nonostante il testo sia caratterizzato da una semplicità assoluta, sia nel linguaggio utilizzato, indirizzato soprattutto verso un italiano dialettizzato e non verso una lingua siciliana pura, sia nella trama che, certamente, non analizza tematiche sconosciute al pubblico, sembra attirare lo spettatore sin dal primo istante.
I due fratelli si mettono a nudo, in senso reale e metaforico, spogliati nel confronto che li costringe a riflettere sulle proprie convinzioni, pur portando avanti il proprio progetto di vita, ossia quello di Saro di diventare un capo clan, e quello di Salvuccio che diventa prete, intento perseguito e raggiunto fuggendo, forse egoisticamente,  dalla famiglia, rifiutando l’esempio malavitoso del padre e la condizione di “onore” riverita dall’intero paese.  I due personaggi si “spogliano” anche fisicamente, mostrando due canottiere, una bianca ed una nera, indicando anche visivamente e simbolicamente le differenze. Lo scontro/incontro, che si materializza sulla scena – nel caso della location napoletana il pubblico è collocato in posizione circolare, attorno agli attori – sembra creare un ring in cui la coscienza, l’ambizione, il cuore e la ragione, la rabbia e l’amore, si contendono il premio più ambito, ossia sopravvivere alla decadenza. Ancora una volta ritroviamo un microcosmo serrato, geograficamente collocato,  ma immagine di un modello universale.
L’interpretazione dei due attori è carnale, verace e vorace, caratterizzata fortemente dalla mimica, dalla gestualità tipica, dalle ripetizioni di movimenti che sembrano rappresentare una routine senza via d’uscita, un circolo vizioso in cui l’equilibrio decadente deve essere necessariamente spezzato, un vortice che implode su se stesso e crolla definitivamente. << Devi stare mutu!>>, urla ripetutamente Saro a Salvuccio: l’omertà si sovrappone al rifiuto della voce della coscienza che deve stare zitta, perché in realtà i due fratelli sono un’anima sola, quella di ogni uomo che durante la vita sceglie di intraprendere direzioni diverse, temporanee o eterne, giuste o sbagliate, mentre la solidità della famiglia, unico e apparente punto di riferimento, sembra disgregarsi sulla scena.

Foto Marco Ghidelli

SALON BAIRES NAPOLI
23 OTTOBRE 2016
MUTU di Aldo Rapè
prodotto dalla compagnia siciliana PRIMAQUINTA
 regia di Lauro Versari
con Aldo Rapè e Gaspare Balsamo