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Com’è noto, in Italia, il governo Berlusconi sul versante statale e della gestione delle risorse pubbliche, e l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, sul versante dell’impresa e quindi degli interessi padronali, stanno da tempo conducendo un attacco, concentrico e durissimo, contro la classe lavoratrice di questo paese nonché contro alcuni settori nevralgici del nostro sistema produttivo, come quello della  conoscenza. Il tutto, con l’avallo del ministro dell’economia, Giulio Tremonti, il quale, adducendo la scusa della crisi –certo non determinata dalle lavoratrici e dai lavoratori- tiene ben stretti i lacci della borsa pubblica, mettendo in atto una serie di tagli indiscriminati che hanno colpito, tra l’altro, la scuola, l’università, la ricerca, la libertà di stampa e la cultura nelle sue molteplici articolazioni (cinema, teatro, musica, enti lirici, ecc.). Un procedere politico e amministrativo, insomma, nel segno del neoliberismo più spinto, che rende ormai evidente come l’offensiva congiunta Berlusconi/Marchionne punti a ridisegnare gli equilibri in tutto il mondo del lavoro, ad esclusivo vantaggio dell’impresa e del profitto, e a detrimento dei principi democratici di convivenza civile. Non c’è dubbio, infatti, che se il lavoro con una compressione dei diritti apre le porte ad uno sfruttamento di tipo ottocentesco e ad una pericolosa deriva democratica, così l’impoverimento della cultura finisce con il ridurre, sensibilmente e rovinosamente, gli spazi e le dinamiche di una sana dialettica democratica. Lavoro e cultura sono inscindibili perché parti di uno stesso progetto e di una stessa finalità: l’uomo, la sua piena realizzazione, la sua coscienza critica, il suo costante divenire, la sua totale libertà di essere e di scegliere. Fortunatamente, però, tanto nel mondo delle fabbriche quanto in quello della cultura, una parte considerevole delle lavoratrici e dei lavoratori ha deciso di non soccombere di fronte ai ricatti di Marchionne e al malinteso senso di democrazia del pifferaio magico di Arcore. Se a Mirafiori, il 46% degli operai metalmeccanici ha urlato in faccia all’Ad il suo no, per l’accordo/capestro proposto da lui e dall’azienda, anche tra gli intellettuali e gli artisti qualcosa comincia a muoversi. In occasione dello sciopero promosso dalla Fiom per il 28 gennaio, infatti, a Napoli un nutrito gruppo di artisti non solo ha deciso di scendere in piazza affianco degli operai di Pomigliano, ma ha deciso di fare qualcosa in più. Il giorno 27, per sensibilizzare la cittadinanza e renderla partecipe dei gravissimi problemi che gli operai si trovano a vivere in questo particolarissimo e delicatissimo momento storico, attori, attrici, musicisti, si recheranno presso alcuni mezzi di trasporto pubblico e reciteranno alcuni brani, di opere famose o scritti per l’occasione, riguardanti la condizione operaia, invitando la gente a partecipare alla manifestazione del giorno seguente. Un’iniziativa -nata anche grazie al contributo determinante del delegato Fiom, Antonio Di Luca, operaio di Pomigliano, e sostenuta dal dipartimento cultura della federazione di Napoli di Rifondazione comunista- che vede coinvolti artisti come il musicista Daniele Sepe, il maestro Antonio Sinagra, il regista Carlo Cerciello, gli attori Antonello Cossia, e Raffaele Di Florio, le attrici Tina Femiano e Rita Montes, e tanti altri che hanno voluto essere vicini, come intellettuali ma prima ancora come lavoratori, a tutti gli operai in lotta per i propri diritti. Dice Cerciello: « In questo momento, non posso fare a meno di pensare a quei pastori sardi  malmenati e rispediti a casa. Oggi sono eroi quotidiani della lotta alla repressione. Ci basterebbe la metà del loro coraggio, della loro solidarietà, della loro forza, per esistere ai loro occhi. Socialmente siamo noi, non loro, i pastori al pascolo, inesistenti agli occhi del potere. E ai coraggiosi operai del no, e ai ricattati operai del sì diciamo: Buon anno di lotta! Noi siamo con voi».