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E’ impegnato l’11 Novembre, con la sua Compagnia Teatro Pubblico Incanto, con il debutto a Hong Kong, dalle 19.45, di “Mari”, in collaborazione con le Università di Chicago e Hong Kong, nella sede di Pokfulam Road. Stiamo parlando dell’autore, attore e regista messinese  Tino Caspanello fondatore nel 1993 dell’associazione culturale Solaris - Teatro Pubblico Incanto. Lo abbiamo incontrato prima della sua partenza per Hong Kong e con lui si è parlato di nuova drammaturgia, di futuro del teatro e dei prossimi impegni con la sua compagnia.  “Per la mia compagnia e per Mari – spiega felice Tino Caspanello – è un successo mondiale. Lo spettacolo celebra proprio ad Hong Kong il suo

tredicesimo anno di repliche, è stato infatti insignito del Premio Speciale della Giuria, in occasione del Premio Riccione per il Teatro nel 2003. Il testo dello spettacolo è apparso su “Hystrio”, nel 2005; tradotto in francese da Frank e Bruno La Brasca, è stato pubblicato nel 2010 da EditionsEspaces 34.“Mari” è stato presentato a Marsiglia, Lione, Tolosa e Strasburgo nell’ambito di Parole in anteprima a cura di Antonella Amirante e messo in scena a Parigi al Théâtre de l’Atelier con la regia di Jean-Luis Benoît; attualmente è nel repertorio di cinque compagnie francesi; nel 2012 è stato presentato in polacco al Border Festival di Cieszyn e nel 2016  al Festival d’Avignone a cura della Compagnia La Lune Blanche”.
Come nasce un tuo testo e come arrivi a trattare un determinato tema in quello che racconti…
“Un testo nasce da suggestioni, a volte percezioni appena colte, un gesto, una parola, uno sguardo, una lettura, la visione di un’immagine, la riflessione sulla condizione umana, sulla nostra storia; e c’è un tempo durante il quale il materiale si accumula, sedimenta, per una necessaria maturazione che crei relazioni e cominci a dare a esse una forma. Durante la fase di scrittura si operano poi delle scelte che riguardano la lingua, i dialoghi, il ritmo e tutti quei segni che diano finalmente un corpo e un’organicità all’opera. Non essendo, ovviamente, la drammaturgia un linguaggio che appartiene alla trattatistica, il tema centrale, per me almeno, è sempre velato dalla metafora, dallo spostamento continuo, dallo spaesamento: riuscire a portare il pubblico in un “altrove”, questo è uno dei miei obiettivi, in un luogo non-luogo, in una linea mediana, mai ben definita, che mette in contatto la vita fisica con tutta la metafisica che ci compone”.
Come vedi  in Italia la situazione del teatro in generale ed in particolare del teatro di ricerca?
“Ho la sensazione, ma non è solo una sensazione, né essa appartiene esclusivamente a me, che qualcosa non funzioni, anche più di qualcosa. Questa nuova riforma, che costringe a fare i conti soltanto con i numeri, che garantisce solo alcuni, che non tutela le piccole compagnie, quelle che non percepiscono contributi, mi pare sia il risultato di una percezione assolutamente distante dalla realtà, più attenta al dato economico che non a quello umano. Si finirà tutti in un supermercato? Andremo al teatro come si va ai centri commerciali? Spero proprio di no. La ricerca? Non saprei, cioè, quella è continua, non si fa altro nel teatro come nella vita, accendiamo piccole luci qua e là e quando percepiamo un percorso appena più chiaro, allora lo percorriamo, nella speranza di non ritrovarci in un vicolo cieco”.
I tuoi lavori danno molta importanza alla lingua, al dialetto. Pensi che il nostro dialetto ed il nostro linguaggio, si stiano trasformando e se sì verso quale direzione stanno andando?
“La lingua è in continua trasformazione, forse non ne percepiamo i cambiamenti, ma se ci potessimo spostare lungo l’asse del tempo, allora potremmo sentire come essa cambia costantemente, a volte arricchendosi, a volte impoverendosi: è il suo percorso naturale, oggi forse forzato da una comunicazione che esige velocità, sintesi.
Per quanto riguarda l’uso dei diversi linguaggi nei miei testi, mi riferisco all’italiano e all’uso del dialetto, ripeto quello che dico sempre quando mi si fa questa domanda: un testo, quando nasce, nasce in una lingua precisa, consapevole. Le differenze tra questa o quell’altra lingua sono certamente fondamentali e non va trascurato il fatto che ognuna di esse trascina dentro e dietro di sé universi, senso, mentalità differenti. Il problema sta caso mai nei modi in cui un linguaggio viene usato, nelle sue capacità comunicative e nelle sue potenzialità di esplorazione e ri-creazione lirica, metafisica e anche scientifica”.
La difficile situazione culturale in Sicilia ed in Italia. Come si può reagire all’attuale andazzo ?
“La nostra condizione, situazione, sappiamo tutti qual è, a cosa ci costringe una politica disattenta e interessata a ben altro, e non voglio qui puntare il dito contro questa o quella amministrazione che ha fatto, disfatto, complicato o cercato di mettere a posto le cose, se mai ha cercato di farlo. Siamo a un punto in cui soltanto la forza comune può rivendicare il valore di quello che facciamo, ma so anche che non è facile. Forse è arrivato il momento di cominciare a battere i pugni sui tavoli, contro l’indifferenza, la burocrazia, le scelte personalistiche,  e certamente non solo per quello che riguarda il teatro”.
I tuoi prossimi impegni con la compagnia ed un sogno che vorresti realizzare...
“Continueremo con le repliche di “Mari” che ha compiuto i suoi tredici anni, inoltre stiamo facendo girare “Niño”, il mio ultimo lavoro, nato in Francia, a Grenoble, durante la mia permanenza al Festival Regards Croisés e mi piacerebbe potere realizzare la seconda edizione del nostro festival…”.