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Il 27 novembre La compagnia del Dramma Italiano di Fiume ha aperto la propria stagione di prosa con “La locandiera” di Carlo Goldoni, per la regia di Paolo Magelli. Una Mirandolina (Valentina Banci), ovviamente, fuori dal suo tempo e dal suo spazio... Ben più importante, tuttavia, della suggestiva rilettura del capolavoro goldoniano ad opera del Magelli, è stata l'occasione in cui la messa in scena è avvenuta: il settantesimo anno di vita del primo Teatro stabile di lingua italiana e, ad oggi, unico al di fuori dei confini nazionali. Il Dramma Italiano, infatti, è stato fondato nel gennaio del 1946 ed ha iniziato il proprio cammino, dopo la ricostruzione del bellissimo edificio, costruito nel 1895 dagli

architetti viennesi Gottlieb Helmer e Ferdinand Fellner, ai quali si deve l'edificazione di ben 47 teatri in altrettante città dell'allora Impero austro-ungarico.
L'allora Teatro Comunale, negli anni Dieci viene dedicato - e ne prende il nome – a Giuseppe Verdi. Dal 1946, con il passaggio di Fiume alla Jugoslavia, al 1953 si chiamerà (dicitura bilingue) Teatro del Popolo-Narodno Kazaliste; quindi Teatro Ivan Zajc, infine, dal 1991, Teatro Nazionale Croato Ivan de Zajc.
E' però appena con l'avvento dell'amministrazione jugoslava che esso diviene sede di complessi stabili: quelli di prosa, croato e italiano, quello operistico e quello di danza. In precedenza, l'attività teatrale principale era costituita da spettacoli, drammatici e operistici, ospiti; ovviamente dall'Italia, anche prima dell'annessione della città al Regno. In un solo caso si tenne uno spettacolo in lingua straniera: nel 1899, quando per una settimana si esibì Sarah Bernardt. Virecitarono, tra gli altri, le compagnie di Mppdena, Salvoni, Novelli, Zacconi, Zago, Ruggeri, Irma (fiumana di nascita) ed Emma Gramatica. Tra i cantanti lirici, ricorderemo un nome soltanto: Beniamino Gigli.
Il Dramma Italiano, dicevamo. Nella stagione d'esordio vengono messi in scena cinque titoli: “Il burbero benefico” e “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni; “Un lungo viaggio di ritorno” di O'Neill, “Sulla via maestra” di Cechov e “Ruy Blas” di Hugo.
Il complesso è formato per lo più da dilettanti locali – fiumani e istriani. Dall'anno seguente, con la direzione in mano allo scrittore e critico triestino Piero Rismondo, coadiuvato dal poeta Osvaldo Ramous, cominciano ad arrivare i primi professionisti dall'Italia: da Milano, Venezia, Roma, i quali si dedicano anche all'insegnamento del mestiere ai giovani (futuri) colleghi.
Nei primissimi anni del dopoguerra, l'attività è frenetica: cinque, sei prime a stagione con fino ed oltre dieci repliche nella sola Fiume (si tenga presente che il teatro conteneva intorno alle settecento persone), che regolarmente registrano veri e propri pienoni.
Il repertorio non ha una precisa fisionomia. Si allestisce di tutto: classici, moderni e contemporanei; italiani, jugoslavi (leggi, croati e serbi) europei, russi e americani.
Nella prima metà dei Cinquanta, se non dal giorno alla notte, ma quasi, le cose cambiano. Di fiumani di lingua ed etnia italiana ve n'è sempre meno. Da qualche tempo la città era stata abbandonata dai cosiddetti “regnicoli” cioé i cittadini italiani che, tra le due guerre, si erano accasati a Fiume. Ora è la volta dei locali. La presenza sempre più accentuata di immigrati da tutte le parti della Jugoslavia, l'assottigliamento della componente italiana divenuta nel frattempo “minoranza nazionale” (benché avente scuole e pubblicazioni), il sistema politico-sociale “socialista”, ma con venature nazionaliste antitaliane, fa cambiare aria a migliaia di cittadini (l'elemento politico-ideologico porta anche molti abitanti jugoslavi a cercare nuove patrie). Tutto ciò avviene mentre tra Belgrado e Roma i rapporti si fanno sempre più tesi, soprattutto a causa della “questione” di Trieste.
Per farla breve, il Dramma Italiano si vede decimare la propria platea naturale. Ci sono, sì, italiani in città, come pure in Istria, ma è sparito il ceto medio, le scuole di ogni ordine e grado restano senza insegnanti, gli intellettuali si contano sulle dita delle mani.
La nuova, peraltro potenziale, platea è costituita da operai, marittimi, pescatori, contadini: gente il cui già debole appetito culturale di certo non contempla l'arte scenica. E la Compagnia si deve adeguare. Un adeguamento che non riguarda solo il repertorio inteso come “genere”, ma anche in termini linguistici. La popolazione locale l'italiano “standard” lo mastica poco. Bisogna dunque approcciarvisi in maniera adeguata. Ed ecco che, messi d'un canto tanto teatro classico e moderno altisonante, ci si affida a Goldoni, punto di riferimento culturale, segno di riconoscimento, attestato di legittimità e fattore di coesione, e veneti “minori”: Gallina, Rocca, Selvatico, Zambaglia, Boscolo, Giancapo, Bertolini, Palmieri, nelle cui storie e idioma la nuova platea può riconoscersi.
La crisi durerà parecchi anni, anni però in cui crescerà e si formerà il pubblico nuovo, svezzato da una frequentazione assidua ai quattro, cinque titoli stagionali, ma anche dall'intenso lavoro del complesso fuori dal teatro, con incessanti incontri con i connazionali nei circoli, nei ritrovi, nelle scuole.
Da tenere presente che in tutto questo decennio e per molti altri anni ancora, la “minoranza italiana di Fiume e dell'Istria” per Roma, intesa come governo della Repubblica, non esiste. Per la destra e per la sinistra, peggio che mai: i primi considerano i “rimasti” (ancora oggi vengono così definiti, come se nel frattempo in loco non vi fossero nate migliaia e migliaia di anime) dei “traditori della Patria”; i secondi, “traditori del socialismo”: anche dopo molti anni che il PCI si era liberato dall'abbraccio fraterno sovietico (figuriamoci prima) la Jugoslavia era considerata “revisionista” del (inesistente) socialismo... Sicché gli unici finanziamenti per il Dramma Italiano (idem per le decine di scuole di ogni ordine e grado della “minoranza” e per le pubblicazioni – libri di testo, giornali) pervengono dalla Federazione, dalle due repubbliche in cui la componente italiana vive – Croazia e Slovenia – e dagli Enti locali.
Dalla metà dei Sessanta, le cose migliorano. Il teatro dialettale torna nei cassetti; non Goldoni ovviamente. Si riprende a mettere in scena, compatibilmente con le forze in campo, il meglio della letteratura drammatica universale. A metà dei Sessanta, grazie all'intelligenza politica di un pugno di intellettuali triestini, che gestiscono la locale Università Popolare, per i quali il dato saliente non sta nell'ideologia della Federativa, ma nel fatto che si è al cospetto dell'unica realtà nazionale italiana autoctona fuori dai confini, il governo italiano si decide ad aiutare economicamente le istituzioni “minoritarie” istriano-fiumane. Al Dramma Italiano si apre l'opportunità di ingaggiare artistici provenienti dall'Italia. Cominciano ad arrivare i primi registi, attori, scenografi, costumisti, musicisti. I nomi sono tanti. Da battistrada fanno Spiro Dalla Porta-Xidias, Francesco Macedonio e Sergio D'Osmo da Trieste, Giuseppe Maffioli, Nino Mangano, il quale per lungo tempo sarò il principale consulente artistico del complesso. Con la compagnia, nel frattempo assai cresciuta artisticamente, le produzioni sono sempre più pregevoli. Timidamente, gli spettacoli vengono portati a Trieste, Gorizia, nel Veneto, in Emilia-Romagna. Nel 1979 si ha la prima uscita romana, al Teatro Parioli.
Il boom artistico e sotto il profilo della visibilità, lo si ha a cominciare dalla seconda metà degli Ottanta. Le regie sono firmate da Tonino Conte, un giovane Franco Però, Andrea e Antonio Frazzi, Alberto Gagnarli, Sergio Velitti, Gabbris Ferrari, Massimo Navone. Ai quali, nei Novanta/Duemila si aggiungono Francesco Randazzo, Mario Moretti, Alberto Bassetti, Gianfranco Pedullà, Marco Mattia Giorgetti, Angelo Savelli, Pier Luigi Donin, Giuseppe Liotta, Gianfranco De Bosio, Serena Sinigallia, Mario Brandolin. Robusta pure la presenza di scenografi e costumisti: oltre al D'Osmo, Misha Scandella, Dora Argento, Raffaele Del Savio, Germana Franceschini, Stefania Battaglia, Mirco Rocchi, Lele Luzzati, Poppi Ranchetti. Tra i musicisti, Nicola Piovani, Massimiliano Pace, Cesare Bindi.
I più numerosi sono ovviamente gli attori. A parte l'apparizione nel 1956/57 di Diana Torrieri, ecco alcuni nomi: una giovanissima Maria Sciacca, Edgardo Siroli, Bruno Pischiutta, Dario Penne, Paolo Falace, Roberto Dalla Casa, Walter Mramor, Claudio Trionfi, Virginio Gazzolo, Miranda Martino, Pier Luigi Zollo, le toscane Marcellina Ruocco, Monica Menchi, Giusy Merli e Stefania Stefanin; i triestini Mimmo Lo Vecchio, Gianfranco Saletta, Orazio Bobbio e Ariella Reggio, i parmensi Marcello Vazzoler, Roberto Abbati, Paolo Bocelli e Tania Rocchetta...
Accanto a costoro, ovviamente, tantissimi bei nomi della scena ex jugoslava e croata, poco nota in Italia, a parte uno dei fondatori del Collettivo di Parma, oggi Teatro Due, Bogdan Jerkovic e l'ex condirettore dell'Odeon-Teatro d'Europa, Peter Selem.
Infine, da ricordare gli autori contemporanei che si sono susseguiti nei cartelloni del Dramma, in particolar modo nell'ultimo ventennio: Moretti, Bassetti e Randazzo li abbiamo già citati in veste di registi, quindi Eduardo e Fo sin dai Sessanta; Dacia Maraini, Giacomo Carbone, Edoardo Erba, mentre da battistrada fece Carlo Terron.
Insomma, una... cavalcata niente male. Con alti e bassi, va da sé. Il Settantesimo per il Dramma Italiano si apre con una nuova direzione, passata in mano all'attrice Rosanna Bubola, dopo un biennio in cui la collega Leonora Surian aveva ripreso i contatti con alcuni registi, attori e compagnie che, a cavallo tra i Novanta e i primi anni del Duemila avevano fatto fare al Dramma Italiano un non irrilevante salto di qualità. a quel periodo, tra l'altro, risale la collaborazione con dramma.it, con il concorso "Dramma in rete", inspiegabilmente interrotto, ma che Rosanna Bubola è intenzionata a ripristinare.