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Otello affrontato dalla forza del femminile che getta il suo sguardo acuto e preveggente su un maschio cui è stato fatto carico, nella drammaturgia shakespeariana, di innumeri contraddizioni e contrapposizioni tanto da esserne inevitabilmente schiantato. Un personaggio in fondo amato e odiato, ammirato e compatito assieme, non privo di una inspiegabile simpatia sia sulla scena che tra gli spettatori. Michela Lucenti con questa sua coreografia drammaturgica affronta innanzitutto Otello con gli occhi di una Desdemona innamorata, carica di un erotismo tragico e anticipatorio della sua sfortunata parabola, e così mette straordinariamente a nudo, nel sempre più frenetico vorticare di eventi e protagonisti, proprio quelle contraddizioni che il Bardo ha incorporato nel suo personaggio ed in cui gli altri personaggi, e tutti noi, si insinuano con facilità. Lo fa con la forza della

danza, con la forza di un alfabeto e di una grammatica del corpo in scena che non solo giunge talora dove la parola stessa non ha più la forza di arrivare, per la nostra incapacità di ascoltare e per il suo lento degradarsi e contaminarsi, ma per di più riesce a spingerla come poche altre cose nella profondità più autentica di sé stessa.
Ecco così che oltre il conflitto di genere, così evidente in quel femminicidio ante litteram che fa da innesco alla creazione della Lucenti, vediamo comparire le molte altre diversità che in quel conflitto vengono celate.
Innanzitutto quella etnica che, mai esplicitata, fa perennemente da controcanto alla gestione del conflitto sessuale, e poi quella, conseguente, storico politica della contrapposizione Oriente Occidente (secondo Nicola Savarese Otello non era un nero, bensì un turco o medio-orientale), divenuta in questi anni così evidente e attuale con la crisi dei migranti.
Ma dietro a tutto questo, e che tutto questo usa e manipola, il potere che nella triade Otello-Cassio-Iago porta a termine il progetto di ripristinare un ordine (economico, sociale, politico e di genere) che non può essere messo in discussione se non nel breve attimo di una tragedia.
La Desdemona di Michela Lucenti però non sembra accettare di tornare in retrovia, occasione tra tante per regolare altri conflitti, ma mantiene la forza di una presenza in scena che, in un certo senso, va oltre il suo stesso ruolo drammaturgico per tentare di essere un riferimento nuovo che a partire dalla questione femminile può mettere in discussione una intera secolare struttura di compressione sia della donna che dell’uomo.
La sua coreografia infatti riesce ad incorporare con vera partecipazione la narrazione shakespeariana e a portarla quasi in un territorio nuovo che non è solo quello del ribaltamento del punto di vista, ma anche quello di una più evidente armonia con la contemporanea sensibilità estetica e sociale.
La regia e la coreografia sono di Michela Lucenti, con cui hanno collaborato per l’ideazione Maurizio Camilli e per la regia Enrico Casale. In scena la stessa Lucenti con i bravi Fabio Bergalio, Maurizio Camilli, Andra Capaldi, Ambra Chiarello, Demian Troiano e Natalia Vallebona. Scene, realizzate da Alessandro Ratti, e costumi di Chiara Defant. Luci di Stefano Mazzanti e suono di Tiziano Scali. Musiche originali eseguite dal vivo dal gruppo Jochen Arbeit (Einsturzende Neubauten).
Una produzione internazionale con al centro la compagnia di Balletto Civile, vista al festival “Resistere e Creare” ospitato dal Teatro della Tosse di Genova nei suoi diversi spazi, qui nel nuovo “Luzzati.Lab” molto funzionale.