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La drammaturgia che leggerete nasce dalla suggestione mai del tutto manifesta di una storia mitica: quella biblica di Abramo e Isacco. Una storia odiosa. Come può, infatti, un padre accettare di essere l’assassino del proprio figlio?
Eppure secondo Kierkegaard quest’atto – scandalo della ragione – sarebbe l’atto di fede più sublime e perfetto proprio perché, contrariamente a un eroe tragico, la scelta di Abramo è priva di qualsiasi piedistallo etico. La sua è, perciò, una fede assoluta e indipendente.
In questa scrittura drammatica i personaggi Abramo, Isacco e Sara sono contemporanei. Sono realistici ma non reali. Le situazioni narrate, invece, sono reali ma non realistiche: nel senso che perseguono l’autenticità di un sentire e non la verosimiglianza di una circostanza.
Abramo è un professore universitario alla fine della sua carriera, un intellettuale engagé di una certa fama che ha difeso gli ideali della lotta al potere e ha cercato anche di trasferirli nella sua vita personale. Nel nido che ha costruito con amore per sua moglie e suo figlio irrompe, però, una realtà del tutto fuori controllo.
Isacco, nato alla fine degli anni Settanta, è diventato un eroinomane che vive per strada e nei suoi deliri recita Bertolt Brecht. È stato influenzato dall’educazione e dai numerosi testi scritti dal padre, decide però di spingere il suo pensiero fino agli esiti più estremi dell’autodistruzione.
Sara è una madre/moglie che non ha amato il marito tanto quanto è stata amata o, forse, non ha amato con quella pressione narcisistica che spinge a riconoscere i propri sentimenti senz’ombra di dubbio. Anche per lei l’autenticità è un’esperienza di soffocamento, così come l’amore per suo figlio: un imperativo morale che la conduce, in un estremo atto d’amore, a essere l’artefice della sua condanna.
Lo scontro generazionale è il tema. Ma non uno scontro che conduce all’affermazione di una generazione su un’altra. Qui lo scontro generazionale si consuma al tramonto di un’epoca in cui tutti, anche se in modo diverso, sembrano sconfitti allo stesso modo.
Lo scontro emblematico fra il padre Abramo e il figlio Isacco è uno scontro di due fallimenti: quello di chi ha “creduto” – nell’evoluzione, nel miglioramento delle condizioni di vita – e quello di chi non è riuscito a credere in nulla, causa la sensazione irriducibile di credere in qualcosa di sbagliato. Da questo punto di vista, la famiglia tanto quanto la strada rivelano la medesima indifferenza.
Infine, una riflessione generale sul complesso della mia scrittura teatrale.
Nata all’interno di un percorso di compagnia piuttosto autoctono, e quindi molto legata alle presenze umane con cui ho lavorato in questi anni, è stata inevitabilmente influenzata da una formazione filosofica. E la compagnia che ho fondato, La società dello spettacolo (www.lasocietadellospettacolo.org), all’inizio ha orientato la sua ricerca verso la riscrittura scenica di opere filosofiche e sociologiche a partire proprio dal famoso saggio di Guy Debord da cui prende il nome, componendo quindi una trilogia dedicata alla filosofia francese contemporanea, ispirata a figure quali lo stesso Debord, Jean Baudrillard e Maurice Merleau-Ponty.
Ero, e sono convito, che la parola filosofica e la parola teatrale abbiano una stessa sotterranea vocazione di offrirsi come parola pubblica e che dunque non sia un’operazione impropria quella di mettere in scena la Filosofia. Ma i miei esperimenti hanno soprattutto risentito di un’altra esigenza eretica: quella cioè di far emergere, del pensiero, non tanto il rigore logico/argomentativo quanto la sua eleganza. Ho tentato quindi di trarre dalla parola filosofica una parola di poesia.
Attualmente, com’è naturale, questa ricerca sta evolvendo verso nuovi ambiti ma di cui non so ancora distinguere i tratti.
Michelangelo Bellani

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Michelangelo Bellani. La sua visione artistica è influenzata, fin dall'infanzia, dal contatto con il regista Michelangelo Antonioni del quale il padre Enrico è aiuto regista; e da subito comincia un rapporto infedele con la scrittura, giocando con una macchina da scrivere modello Olivetti lettera 92. Si laurea in Filosofia all'Università di Perugia con una tesi su Pasolini e Debord dal titolo ESTETICA DEL TEMPO REALE. Nel 1997 fonda – con Marianna Masciolini e un manipolo di amici – la compagnia giovanile Olt, residente presso il Teatro Subasio di Spello (Perugia), di cui cura per un biennio la programmazione. Nel 2000, per la messa in scena della sacra rappresentazione LA SCALA DELLA BUONA NOVELLA di Nilo Negroni, collabora con il “Premio Oscar” Carlo Rambaldi. Ha lavorato come aiuto regista, attore e regista in documentari, cortometraggi e film. Ha pubblicato i saggi L'ESTETICA DELLA PRESENZA e LA CARNE DELL’IO O LA SCRITTURA DELL’INVISIBILE in “Davar”, annuario filosofico a cura di Anna Giannatiempo Quinzio, edito a Reggio Emilia da Diabasis nel 2008. Con C. L. Grugher e Marianna Masciolini fonda e dirige, dal 2007, La società dello spettacolo: gruppo umbro di ricerca teatrale (di cui fa parte dal 2012 anche Caroline Baglioni) che ha all’attivo diverse produzioni d’arte, cinema e teatro, gratificate di numerosi riconoscimenti in festival nazionali e internazionali (Premio Independents ArtVerona 2014 per PRESENTE, Premio Umbria in celluloide PerSo Film Festival 2015 per SÒCCANTARE, Premio Scenario per Ustica 2015 e In-Box Blu 2016 per GIANNI). IO SONO NON AMORE è l’ultimo testo rappresentato dal gruppo nel 2016, scritto da Bellani e ispirato all’esperienza della mistica umbra Angela da Foligno.