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C’era una volta un luogo-non luogo in cui vivevano due personaggi, ma in realtà l’aura e la presenza di altri e numerosi uomini e donne aleggia tra le mura di un “castello” di città  che compare arroccato sul monte della vita.  Come sono arrivati lì dentro? Perché vivono lì? Chi sono? Domande che lo spettatore si pone sin dall’inizio e molte delle quali trovano risposta solo in conclusione. Ed il bello è proprio questo.  Parliamo di DELIRIO BIZZARRO, spettacolo firmato dalla coppia siciliana Carullo-Minasi, vincitore del bando “Forever Young 2015/16”, in scena il 21 e 22 gennaio presso il TAN, Teatro Area Nord, nella periferia napoletana.  Il titolo potrebbe stimolare ragionamenti infiniti ma, in effetti, contiene in sé la caratterizzazione principale dell’intero racconto: l’ironia amara espressa attraverso particolari personaggi che vivono e descrivono un microcosmo all’interno di

vari microcosmi.  Scatole cinesi che contengono una città siciliana, Messina, un castello-associazione nella stessa città, un manicomio dentro il castello-associazione, un ufficio dentro il manicomio-castello. Micro mondi e micro ragionamenti che, improvvisamente, esplodono verso l’universo, l’infinito, l’umanità intera, attraverso l’immaginazione, la speranza, il pensiero, la fedeltà ad un fantomatico medico, chiamato “Allone”, che comanda, telefona, ma che non c’è perché forse non esiste. Il gioco di parole tra l’inglese “All-one” e l’italianol Allone, segue le sonorità della lingua siciliana e della suo onomastica, attraverso una geniale scelta linguistica, testuale ed interpretativa. La drammaturgia dei Carullo-Minasi rappresenta perfettamente quella tendenza di scrittura teatrale che negli ultimi anni ha fatto emergere prepotentemente l’autorialità siciliana, dimostrando innovazione nel pensiero e nella messinscena, pur ricordando costantemente il rapporto con la terra d’origine che, finalmente, non è regionale, ma internazionale. Un testo del genere, infatti, può essere considerato fortemente europeo e, quindi, è facile azzardare l’ipotesi di una traduzione in lingua straniera o in una variante dialettale o locale di una lingua altra.  La scelta linguistica, in questo caso, verte verso l’italiano con cadenze e sonorità regionali, ma si allontana dal dialetto vero e proprio. Oltre agli immediati riferimenti a Pirandello e al Teatro dell’Assurdo, il ricordo va allo strabiliante spettacolo e testo di Visniec, “Come spiegare la storia del Comunismo ai malati di mente”, osservato con grande interesse nel lontano 2008, in scena a Catania, grazie ai giovani allievi del Teatro Stabile della città siciliana.  Il fantomatico dottor Allone/All-one viene identificato nella figura di una divinità, ricorda il mago di Oz, atteso e inesistente, o le atmosfere  de “Il Castello” di Kafka: egli persiste come  elemento esterno che irrompe all’interno dell’ambiente serrato in cui si introduce attraverso il telefono, non quello ormai obsoleto dei testi ruccelliani, ma attraverso i più moderni smartphone ( ben due!). All’interno di questo castello- manicomio, Sofia e Mimmino sono due pazienti, ma sin dall’inizio il dubbio sull’incerta stabilità mentale del personaggio femminile persiste, mentre appaiono subito evidenti le problematiche del personaggio maschile. Ciò che colpisce subito, oltre alla scelta delle tracce musicali, è la scenografia: pareti, sedie e tavoli bianchi, che presentano malformazioni, fratture, oggetti che si incastrano,  ma non del tutto, e che diventano anch’essi “personaggi” indispensabili all’interno del racconto.  Persiste, dunque, la sensazione della “stonatura”, di qualcosa che appare ma non è del tutto ben identificabile, all’interno di un “ambiente-mente” in cui si sono chiusi, o sono stati rinchiusi, i due personaggi, emblema, anche stavolta, dell’umanità intera. Emergono tematiche varie, dall’isolamento dalla società, alla difficile condizione lavorativa e culturale della generazione dei trentenni e quarantenni italiani, fino all’immagine della famiglia smembrata, argomenti  trattati in maniera originale, profondamente drammatica, conclusione questa a cui si giunge dopo numerose risate. Il macchiettismo evidenziato nei due personaggi, infatti, è funzionale al crollo finale: ancora una volta i genitori sono assenti, così come questo fantomatico dottore-dio, ed i figli sono lasciati al loro destino. Ancora una volta, dunque, le nuove generazioni degenerano, non solo fisicamente ma soprattutto psicologicamente, ed infine crollano, muoiono, si frantumano. Elementi, questi, frequentemente presenti, come abbiamo spesso detto, all’interno della nuova drammaturgia del Sud, prodotta negli ultimi dieci anni. L’immagine del mondo esterno, da cui questi personaggi appaiono emarginati, forse volontariamente, è accennata e descritta attraverso la bellissima immagine della strada attraversata, dentro la città, lungo un mercato rumoroso, confusionario e pericoloso, per arrivare al “castello-manicomio”: percorso dantesco che conduce queste nuove anime dannate che si accingono al purgatorio ironicamente paradisiaco, ossia un manicomio fittizio, immaginario, che è costituito dal silenzio delle nostre menti, l’unico luogo di salvezza e di perdizione insieme. La finestra da cui sbircia Sofia – che sembra un’ingenua scelta scenografica, ma che in realtà è perfettamente coerente con il discorso – è posizionata all’interno dello stesso spazio chiuso e può essere intesa come osservazione e distinzione di ciò che nella nostra vita è considerato normale o no. Anche i costumi riportano in scena una grande accuratezza semantica – firmati da Cinzia Muscolino, attrice e compagna di un altro importante drammaturgo siciliano, Tino Caspanello – poiché puntano l’attenzione sui piedi: le calze di Sofia che hanno accumulato odore nauseabondo perché quei piedi hanno percorso tanta strada, le scarpe bianche di Mimmino, leccate ripetutamente dal personaggio che “si infetta” della polvere del mondo. Il cammino, dunque, è la vita stessa di questa umanità in declino, ma che preferisce proteggersi, dimostrando di essere “bizzarra” e di dover delirare, piuttosto che omologarsi.
Foto di Gianmarco Vetrano

DELIRIO BIZZARRO
TAN Teatro Area Nord Napoli
21-22 gennaio 2017
Scritto diretto e interpretato da
Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo
Scene e costumi Cinzia Muscolino
Scenotecnica Pierino Botto
Disegno luci Roberto Bonaventura
Aiuto regia Veronica Zita, Eleonora Bovo
Produzione Compagnia Carullo-Minasi, La Corte Ospitale

Foto Gianmarco Vetrano