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Ottavia Piccolo ripropone a Genova, quasi facendosene interamente carico, questa interessante drammaturgia di Stefano Massini del 2009, erano vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, nella efficace regia di Silvano Piccardi. Un testo sintatticamente sincretico che si pone e propone su più piani e da più punti di vista ma che, a mio avviso, nella sua logica incalzante e quasi sillogistica, è più “enigmistico” che “enigmatico”, nel senso che guida i protagonisti e gli stessi spettatori attraverso un percorso tortuoso ma ben segnalato e che, soprattutto, si sviluppa prevalentemente sulla superficie del dialogo. Le parole così sono una sorta di boa luminosa in cui si ancorano profonde pulsioni identitarie che, in quel

luogo ed in quel tempo che è pur sempre il nostro luogo ed il nostro tempo, i rumorosi rivolgimenti della storia, quella con la S maiuscola, e delle storie hanno come abbandonato in sorta di relitti su una spiaggia sconosciuta e anonima.
Inevitabili le suggestioni che un attento osservatore della contemporaneità quale è Massini ha colto, non può non venirci alla mente il famoso film Le vite degli Altri, suggestioni che vengono qui ricomposte in un contesto noir quasi claustrofobico, una specie di stato di assedio della mente in cui, come opportunamente recita il sottotitolo, “niente significa mai una cosa sola”.
Un uomo sembra salvare una donna dopo un incidente che sembra averli coinvolti, e, mentre infuria un temporale, la porta nel suo appartamento in quella che era Berlino Est prima della caduta del muro, una Berlino Est che sembra esistere ancora anche se non è più. Non sono due sconosciuti però, ma man mano si scopre che sono profondamente legati da ciò che, come per ogni buon thriller, evitiamo di rivelare.
Divisa in dieci quadri, talora brevissimi come lampi di una memoria man mano condivisa, la narrazione transita in scena e si sviluppa con stringente coerenza, anche se proprio in questo suo essere quasi neutra dà l’impressione di ingabbiare più che rivelare i moti convulsi dello spirito e le angosce che quella stessa narrazione inevitabilmente produce. Ne nasce una impressione di distanza che in certi momenti declina in una certa freddezza emotiva.
Accanto a Ottavia Piccolo, figura quasi centrifuga della intera drammaturgia, è buona la prova dello stesso regista Silvano Piccardi che tenta inutilmente di sottrarsi all’incalzare delle rivelazioni. La scenografia ben amalgamata al dramma è di Pierluigi Piantanida, le musiche originali sono di Mario Arcari e le luci di Marco Messeri.
Un testo comunque significativo nel contesto della drammaturgia italiana contemporanea, portato in scena da Arca Azzurra Teatro-Ottavia Piccolo. Tra le compagnie ospiti dello Stabile di Genova, al teatro Duse dal 31 gennaio al 5 febbraio. Molto applaudito il dramma e molto applaudita la Piccolo.