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Truman Capote. C’è altro da aggiungere? Lo abbiamo amato per aver concepito quel diamante senza tempo che è “Colazione da Tiffany”, ci ha aperto gli occhi con il durissimo «romanzo verità» (amava definirlo così) “A sangue freddo”, ha fatto parte di quell’importantissimo manipolo di celebrità culturali che hanno preso a picconate il perbenismo con la propria condotta sopra le righe. E’ sempre rischioso portare in scena questo genere di personalità. Un’ora e mezza può bastare a raccontarne la biografia – non la conosciamo già a menadito? -, può essere appena sufficiente per una panoramica agiografica sui capolavori del Maestro – c’è altro da aggiungere?-, oppure per guardare con occhi moderni

questo personaggio tutto Novecentesco. Hanno scelto di percorrere quest’ultima via complessa Massimo Sgorbani (autore del testo) e il bravissimo Gianluca Ferrato, al Franco Parenti di Milano (via Pier Lombardo, 14) fino al 12 febbraio.
 Truman Capote è morto – ma lo si capisce strada facendo -. Lì vicino a lui è simbolicamente presente la sua cara amica Marilyn, che tanto ha avuto in comune con lui, dall’infanzia difficile a un rapporto contrastato con la propria immagine. Nasce un dialogo-confessione in cui Truman getta la maschera e la riprende, si mette a nudo nei suoi meandri dolorosi e si rintana negli abiti-costumi ufficiali, ricorda le turbe psichiche e le ossessioni di aggressione, ma anche il bel mondo e la celebrità.
Poca biografia e tanta psicologia, verrebbe da dire. E menomale! Notevole la capacità di Sgorbani di tenere attaccato il pubblico alle evoluzioni di una mente geniale seppur fragilissima. Lo ami, quel Truman, ti intenerisce l’anima con la sua delicata solitudine. Poi ci sono i colpi di coda delle vite dei pionieri, con abbandoni, tradimenti, solitudini. Truman ha mostrato al mondo la libertà dagli schemi, ma per farlo si è rinchiuso in una maschera di ferro che lo ha talvolta protetto e talvolta imprigionato. Il dandy molto gay e molto stridulo, molto sociale e molto solo, molto geniale e molto insicuro. Solo Marilyn, nella sua presenza spirituale in scena, può capirlo, come se possa capire solo chi attraversa l’inferno tutto paillettes di certe esistenze pazzesche.  
Gianluca Ferrato è bravissimo. Ha passato la sua esistenza di attore a infilarsi nei panni dei grandi personaggi del teatro con quella bravura di chi non vive le vite altrui sul palco, ma vive la propria travestito da qualcuno. Forse questa è la ragione di una interpretazione tanto convincente. Non c’è la copia di Truman che sgambetta davanti al pubblico, c’è un’interpretazione personale di un’anima, accidentalmente Truman. Da vedere!