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Viviamo, io credo, in un mondo paradossale, anzi viviamo direttamente un paradosso, il paradosso di un mondo ormai sommerso dalle parole che riempiono i più disparati canali e mezzi di comunicazione di massa, sempre più invadenti ed invasivi, un mondo di parole scritte e parole parlate che però sembrano aver perso non solo il loro significato ma anche, spesso, un senso qualunque, quasi questo e quello si fossero ormai inevitabilmente diluiti nella loro stessa pletora. Questa drammaturgia nata da una idea di Elisabetta Granara per poi crescere come progetto collettivo della S.N.C.G., è costruita appunto al centro di questo paradosso ed usa l’ironia ed il grottesco della costruzione scenica per penetrarlo in

profondità, accompagnandoci con l’arma della risata ma senza nascondere l’angoscia che man mano ci prende.
Se parlare sembra ormai facile, quasi una coazione a ripetere di cui i cosiddetti social sono l’espressione più piena e il political corretly la grammatica più diffusa, “dire” è dunque sempre più difficile se non ormai impossibile. La narrazione prende così spunto dalla sintassi delle forme più diffuse del discorso pubblico (il comizio in primis, e poi la prolusione ovvero il virale talk show televisivo e radiofonico) mettendole sotto i riflettori del teatro che aprono finestre sul mondo fuori.
Ma le quattro finestre ci fanno precipitare nel meccanismo bloccato del comunicare che abbiamo ormai interiorizzato trasformando la nostra stessa coscienza in una sorta di luogo interno dell’altrui passa-parola (politicamente corretto o scorretto che sia) in cui la nostra identità è come sparita.
Quando finalmente ce ne accorgiamo, ci accorgiamo di non sapere dire perché non abbiamo niente di nostro da comunicare, allora smettiamo anche di parlare come il protagonista il cui silenzio in fondo va ad inceppare il meccanismo del vuoto collettivo.
La drammaturgia non dà soluzioni ma forse il teatro sì, almeno cerca di renderci consapevoli.
In scena con Elisabetta Granara, artista di talento che cresce in sguardo e capacità di lettura scenica, gli altri altrettanto bravi progettisti collettivi di S.N.C.G. e cioè Giancarlo Mariottini, Sara Sorrentino e Carlo Strazza che evidentemente organizzano ancora insieme una regia priva di orpelli in cui lo stesso movimento recitativo costruisce gli spazi e detta i tempi del transito scenico.
In collaborazione con il gruppo Teatro Campestre, alla sala Campana del Teatro della Tosse di Genova dal 9 all’11 febbraio. La sala era pienissima e anche entusiasta.