Pin It

Tre monologhi in tre alberghi e un fattorino che passa, spolvera e riordina cercando di mettere ordine nella vita delle persone e di un sistema economico sociale che lascia sempre indietro gli ultimi. Serena Sinigaglia, con la fantasia e la coerenza scenica che contraddistingue il suo fare teatro, ambienta il testo di Jon Robin Baitz fra scatole di latta e fili di metallo che rappresentano le prigioni sociali e mentali dei protagonisti ma anche le nostre. Ken e Barbara hanno un passato da attivisti per la solidarietà e la pace nel mondo, attenti ai valori di comunità e ai diseredati.  Ma improvvisamente tutto il loro mondo cambia quando Ken decide di lavorare per una multinazionale di prodotti di prima necessità;

proprio per approfondire la sua battaglia in favore di chi ha fame sarà travolto dal sistema sfruttamento della fame, da quel sistema che lui sognava di cambiare dall’interno. Perderà per sempre l’amore della moglie che non riconosce più suo marito in quel freddo e spietato manager che è diventato. «L’uomo che ho sposato e l’uomo che vende la baby formula alle madri africane non sono la stessa persona» La crisi di coppia cresce insieme alla tragica fine del figlio dei due. Le stanze dei tre alberghi sono luoghi metaforicamente e scenicamente impolverati, travolti dalla dialettica della parola scenica tagliente e coinvolgente. Il testo di Jon Robin Baitz, (Los Angeles 1961. Three Hotels nel 1991 ha vinto l’Humanitas Prize.) ha lucidità di scrittura che Serena Sinigaglia esalta e valorizza. La regista costruisce la rappresentazione in una dialettica continua fra passato e presente, fra racconto individuale e sociale che dona al tempo stesso effetti di straniamento e di verità: eventi scenici che trasmettano continui sentimenti di stupore. Come dovrebbe essere. Il teatro è anche il regno della meraviglia e dello stupore. Maria Spazzi e Roberta Faiolo, l’una per le scene, l’altra per le luci completano l’opera della regia.  La ricchezza dei segni visuali e uditivi immergono lo spettatore in un “non tempo” teatrale che incanta e che diventa anche denuncia di quello che sta accadendo nel nostro sistema economico globalizzato. Un sistema in cui le emozioni si misurano con gli oggetti. Il figlio dei due protagonisti perde la vita a causa di un oggetto: un orologio di lusso che entrambi i personaggi indossano compulsivamente. Relazioni personali in cui il modello comunicativo diviene l’oggetto utilizzato per descrivere e oggettivare le emozioni, producendo una razionalizzazione e un raffreddamento dei rapporti intimi. Ed ecco perché il racconto si dipana in tre diverse camere d’alberghi, dove tutto è di passaggio, dove le uniche tracce che le persone lasciano sono polvere sui comodini e sul pavimento. Francesco Migliaccio, Maria Grazia Plos, l’uno vittima del consumo, l’altra eroina della denuncia, interpreti lodevoli nel trasmettere le contraddizioni dei loro stessi personaggi. I tagli temporali e le sequenze multiple obbligano lo spettatore a porsi domande a riflettere a documentarsi sui processi. Un bel modo per trascorrere un venerdì 17 nel 2017.

Milano, Teatro Ringhiera, venerdì 17 febbraio 2017