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La comicità ha davvero tanti volti ma forse non ha parole a sufficienza per identificarla. Oltre alla macrodistinzione tra comico, umorismo e satira, poche altre categorie abbiamo a disposizione per inquadrare sinteticamente  il fenomeno del riso. Forse perché per sua natura è sfuggente, quasi informe. Oppure perché è un prodotto sempre più diversificato in mille ramificazioni, che ben rappresentano il nostro mondo. Fino al 2 aprile al Teatro Elfo Puccini di Milano (corso Buenos Aires, 33) e ancora in tournée fino all’8 aprile a Pinerolo, Sabina Guzzanti porta in scena la sua personalissima idea di comicità. Al culmine di una appassionata ricerca sul liberismo, “Come ne venimmo fuori. Proiezioni dal futuro” (regia di

Giorgio Gallione) è la storia surreale, ambientata in un lontano futuro, delle commemorazioni annuali del cosiddetto “secolo di merda”. Ossia quello in cui viviamo noi ora! La Guzzanti, nel ruolo di colei alla quale è stata affidata la commemorazione a seguito di una estrazione a sorte, racconta così al pubblico in sala di aver fatto delle ricerche sulle persone che vivevano in quel passato così terribile – sempre il nostro – per portare alla luce alcune delle ragioni che li rendevano così infelici e aggressivi. E così c’è posto per una serie esilarante di descrizioni di Facebook, anzi FB, del mondo del lavoro, dell’isteria collettiva che ci caratterizza in lungo e in largo per il pianeta. Attraverso la tecnica narrativa dello straniamento, si ride dei nostri difetti e delle nostre idiosincrasie, ma il cuore dello spettacolo non è questo. I momenti di satira più pura, con tanto di azzeccatissime imitazioni di Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, riportano ai momenti celebri della carriera tv dell’artista, ma il vero pregio va ben oltre. Le due ore filate di monologo si dipanano attorno a un’acuta ricostruzione della storia del liberismo, con nomi, cognomi e idee. L’Ottocento, le due guerre, le ideologie e la loro caduta: tutto trova il suo posto in questa efficace narrazione che saltella tra il serio e il faceto. L’amaro resta in bocca, però, l’evidenza dei tanti non-sense di cui è cosparsa la storia e la violenta assurdità di certi meccanismi socio-economici è lì sotto gli occhi di tutti. Il segno di speranza c’è, però. Un giorno gli uomini e le donne di quel “secolo di merda” si ribellarono e cambiarono le cose, inaugurando un’epoca diversa, nuova, più felice e giusta.
Il linguaggio espressivo è interessante. La comica romana è un animale da palcoscenico, imita, declama e ammicca. Ma la robusta continuità del testo e la capacità unica di modulare registri diversi – dal comico al satirico, dal sognante al declamato – rendono davvero efficace questa pièce.