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Nella tragedia greca, la legge, lo stato, la regola sono concetti fondamentali. Lo stato è strettamente connesso con la regola. La regola gioca su una concatenazione

immanente di segni arbitrari, mentre la legge si fonda su una concatenazione trascendente di segni necessari. L’una (cioè la regola) è ciclo e ricorrenza di procedure convenzionali, l’altra (cioè la legge) è un’istanza fondata su una continuità irreversibile. L’una appartiene all’ordine dell’obbligo, l’altra a quello della costrizione e del divieto. La legge può e deve essere trasgredita perché instaura una linea di spartizione. Di contro non ha alcun senso trasgredire una regola del gioco. In altre parole nella ricorrenza di un ciclo non esiste linea da oltrepassare perché si esce dal gioco, punto e basta. Nella filosofia platonica per esempio possiamo vedere. Gorgia chi codifica le leggi sono gli uomini deboli e la massa ..a proprio tornaconto …Ma è la natura a mostraci che è giusto che il più forte domini il meno forte. (Gorgia 483 bd). E ancora: Voi tutti qui presenti siete parenti familiari per natura non per legge che compie molte violenze contro la natura (Protagora, 337cd) Mentre nella filosofia aristotelica, legale, giusto, e politica sono insieme come potere in derivato. Del giusto politico (politikon dikaion) una forma è naturale (physikon) un’altra legale (nomikon ). Naturale è quello che dovunque ha la medesima potenza è non dall’essere secondo una o un’altra opinione. Legale ( nomikon ) invece è ciò che all’inizio non fa nessuna differenza che sia in questo o quel modo ,ma quando l’abbiamo posto ( hotan de zontai ) ad esempio pagare una mina per il riscatto o sacrificare una capra invece di due pecore. (Aristotele 1124 b) Attraverso le commedie di Aristofane, soprattutto nelle Nuvole, la legge è la grande rivoluzione antropocentrica.
Per Sofocle la legge appartiene all’ordine della rappresentazione, ed e quindi soggetta a un’ interpretazione e a una decifrazione. Scrisse: Le leggi sono fanciulle dal piede sublime, generate dall’etere uranio. Il loro padre è l’Olimpo. Non derivano da natura mortale, non potranno essere sepolte dall’oblio. Un grande dio è in esse..…(Sofocle Edipo Re 863 ss)
Rossana Venezia analizzando l’opera di Sofocle Antigone scrive: «Chiunque tenterà di violare il decreto emanato da Creonte verrà ucciso. Si può bene immaginare che sarà proprio Antigone a violarlo. Creonte, quando viene a sapere che proprio Antigone, sua nipote nonché futura sposa del figlio Emone, ha reso gli onori funebri a Polinice, è indignato. Nel primo dialogo tra Creonte e Antigone viene fuori la vera essenza della tragedia: da un lato vi è la legge scritta rappresentata qui da Creonte, e dall’altra vi è la legge morale, la legge non scritta rappresentata da Antigone. Creonte ha un forte senso dello Stato: tutti i cittadini devono subire lo stesso trattamento innanzi a uno sbaglio da loro commesso, dunque Antigone verrà giustiziata. In seguito alle profezie di Tiresia e alle suppliche del coro Creonte decide di risparmiarla, ma questa, sapendo di essere condannata a morte, si suicidia. Emone si uccide sul cadavedere di Antigone e alla notizia della morte di quest’ultimo anche Euridice, moglie di Creonte, si toglie la vita. Da solo vi è Creonte che maledice la sua stoltezza.
Ben sappiamo che qui Sofocle ha voluto mettere in scena il conflitto che permane tra la legge dello Stato e i principi morali. Antigone, che nella tragedia personifica la moralità insita in ogni uomo a prescindire dalle leggi che lo Stato impone, ritiene di non dover rispettare una regola nella quale non riconosce alcun fondamento etico. Antigone porta in sé le leggi degli dei, appartenti alla tradizione, quelle leggi non scritte che risultano essere indistruttibili. Sono regole che vivono da sempre e nessuno sa quando sono apparse. Creonte invece porta in scena le leggi che devono essere rispettate, quei decreti che anche se non condivisi, anche se ritenuti errati o ingiusti, devono essere applicati in ugual modo per tutti. Ma ritorniamo alla nostra cara Antigone, per la quale tutti hanno provato un senso di simpatia. Tutti noi, e io in particolar modo, siamo stati colpiti dalla fermezza dei suoi principi, l’assenza di ripensamenti e di dubbi o incertezze: Antigone non mostra cenni di esitazione neanche quando deve scegliere tra la propria vita e i propri principi morali. Per tale motivo l’atteggiamento di Antigone appare spigoloso, altero, fiero ma anche un po’ attezzoso.»
Per Sofocle la legge traccia un sistema di senso e di valore. Punta a un riconoscimento oggettivo. Sulla base della trascendenza che la fonda, si costituisce come istanza di totalizzazione del reale. Cioè tutte le trasgressioni e le rivoluzioni aprono la strada all’universalizzazione della legge. Mentre la regola è immanente a un sistema ristretto e limitato lo traccia senza trascenderlo, e al’ interno di questo sistema è immutabile. Qui possiamo frequentare il dialogo tra Creone e Antigone.
CREONTE
Hai potuto spezzare norme mie?
ANTIGONE
Ah sì. Quest'ordine non l'ha gridato Zeus, a me; né fu Diritto, che divide con gli dèi l'abisso, ordinatore di norme come quelle, per il mondo. Ero convinta:gli ordini che tu gridi non hanno tanto nerbo da far violare a chi ha morte in sé regole sovrumane, non mai scritte, senza cedimenti. Regole non d'un'ora, non d'un giorno fa. Hanno vita misteriosamente eterna. Nessuno sa radice della loro luce. E in nome d'esse non volevo colpe, io, nel tribunale degli dèi, intimidita da ragioni umane. Il mio futuro è morte, lo sapevo, è naturale: anche se tu non proclamavi nulla. Se prima del mio giorno morirò, è mio interesse, dico: uno che vive come me, tanto in basso, e soffre, non ha interesse nella fine? E così tocca a me: fortuna, di quest'ora di morte, non dolore. Lasciassi senza fossa, per obbligo, la salma, quel frutto di mia madre spento,quello era dolore: ma il mio presente caso, ah no, non m'addolora. Logica idiota, penserai. Chissà. Forse è l'accusa d'idiozia idiota. [ 1 ]

La trascendenza della legge fonda l’irreversibilità del senso e del valore. L’immanenza della regola, la sua arbitrarietà e la sua circoscrizione comportano all’interno della sfera a lei propria, la reversibilità del senso e la reversione della legge. La regola non ha bisogno, per funzionare, di alcuna struttura o sovrastruttura formale anche morale o psicologica. Proprio perché è arbitraria, infondata e priva di referenti, non ha bisogno di consenso, anche né di una volontà o di una verità di gruppo in altre parole esiste e basta, esiste solo condivisa mentre la legge fluttua al di sopra degli individui sparsi. Qui possiamo vedere il dialogo tra Tiresia e Creonte.
TIRESIA:
Ciò che in mente ho rinchiuso a dire m'ecciti.
CREONTE:
Schiudilo pur; ma non t'ispiri lucro.
TIRESIA:
Giudichi dunque tu che lucro io cerchi?
CREONTE:
Ma non potrai dai miei disegni smuovermi.
TIRESIA:
E questo sappi tu: non molti giri
dell'agili vedrai ruote del sole,
e un uom dal sangue tuo nato, cadavere
tu dovrai dare, in cambio d'un cadavere,
perché spingesti, all'Orco, di quassú,
e senza onor desti sepolcro a un'anima,
e un altro invece, che appartiene agli Inferi,
qui senza tomba e senza onor lo tieni,
cadavere nefando; e tal diritto
non appartiene a te, non ai Celesti
d'Olimpo; e pure, è tuo questo sopruso.
E l'Erinni dei Numi e dell'Averno
t'agguatano perciò, vendicatrici,
sterminatrici, perché tu procomba
nei medesimi mali. Or guarda bene
se corrotto dall'oro io parlo a te.
Di tempo un breve indugio, e udrai di femmine
suonar nelle tue case ululi, e d'uomini;
e tutte quante ostili si sconvolgono
le città dei cui figli, o cani o fiere
lanïarono i corpi, o qualche aligero,
l'empio lezzo recando ai patrii lari.
Queste pene, poiché tu mi vituperi,
a guisa d'un arciere, io, nel mio sdegno
dal cuor mio contro te scagliai securo,
né tu sfuggire al vampo lor potrai. -
Figlio, ora tu guidami a casa. E questi
sfoghi la bile sua contro i piú giovani,
e piú tranquilla la sua lingua, e piú
calmo il pensiero a mantenere apprenda.
(Parte)
CORIFEO:
Dopo i tremendi vaticinî, o re,
il profeta è partito. Ed io ben so:
da quando il crine mio bianco divenne
da nero, a Tebe ei mai non disse il falso.
CREONTE:
Anche io lo so: perciò sconvolto ho il cuore.
Cedere è duro; eppur, nella sciagura
cadrà di certo, ove s'opponga, l'animo.
CORIFEO:
Convien, Creonte, al buon consiglio apprendersi.
CREONTE:
Che devo fare? Dimmelo, e farò.
CORIFEO:
Va, dalla stanza sotterranea libera
la fanciulla, e al defunto innalza un tumulo.
CREONTE:
Ciò mi consigli, e a cedere m'esorti?
CORIFEO:
Quanto puoi prima. A chi mal pensa, il tramite
taglia dei Numi la vendetta rapida.
CREONTE:
Faccio forza al cuor mio, m'induco all'opera:
sconvien contro il destino un'ardua pugna.
CORIFEO:
Or va', còmpila, ad altri non rimetterla.
CREONTE:
Andrò senza piú indugio. - Orvia, miei servi,
e presenti ed assenti, in pugno l'asce
stringete, e al poggio andate. Ed io, poiché
il mio disegno fu cosí travolto,
io stesso, a scioglier ciò che avvinsi, andrò.
Temo che il meglio sia vivere illeso,
serbando ognor le costumanze avite. [ 2 ]

Con la regola siamo liberi della legge. Liberati dalla necessità di scelta, di libertà di responsabilità di senso. L’ipoteca terroristica del senso può esser tolta solo in virtù di segni arbitrari. Mentre la legge fonda un’uguaglianza di diritto. Per esempio tutti sono uguali - secondo Sofocle - davanti a lei (la legge). Di contro non esiste uguaglianza davanti alla regola, poiché questa non è giurisdizione del diritto, e bisogna essere separati per essere uguali. E i compagni di gioco non sono separati, sono sin dall’inizio istituiti in una relazione duale e agonistica, mai individualizzata. Non sono solidali, cosi la solidarietà è già il sintomo di un pensiero formale del sociale, l’ideale morale di un gruppo concorrenziale. In altre parole sono legati, cioè la parità è un obbligo che non ha bisogno di solidarietà, la sua regola l’avvolge senza che abbia bisogno di essere riflessa o interiorizzata. Sofocle rappresentando nella sua Antigone lo sdegno di Antigone contro Creonte che in dispregio ad ogni legge non scritta, aveva vietato di seppellire il cadavere di Polinice, fa dire alla sua eroina che vi sono leggi non scritte che derivano dalla natura e che non e’ lecito violare, Ma anche concedendo che questo concetto non appartenga ai tempi mitici dell’ Antigone e che costituisca perciò il riflesso di una tesi valida ai tempi di Sofocle è indubbio che tutta la filosofia presocratica dagli ilozoisti ad Eraclito e da Parmenide a Pitagora ed atomisti concepisce la giustizia come conformità ad una necessità cosmica che è legge inviolabile dell’ essere e che la loro valutazione del diritto positivo ed in genere del comportamento degli uomini, muove da questa fondamentale misura per cui la volontà legislativa trova un limite insuperabile nelle leggi della natura. La legge esiste ai drammatici eventi della quale tenti di riconoscere il cenno d’ assenso la certezza della ricompensa, mentre la regola e lo stato insieme esprimono la vita di rinnegamenti sbagliati di intempestivi congedi, cioè una vita gravata dalla paura dell’ inevitabile disperazione.

Note:
[ 1 ] Antigone 456
[ 2 ] Antigone 998 – 1114