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A latere dell’ottava edizione del Festival “Testimonianze Ricerca Azioni” del genovese Teatro Akropolis si è tenuta a Palazzo Ducale una due giorni, il 13 e 14 aprile, di studi per  Giorgio Colli a cent’anni dalla nascita. Sono intervenuti con loro relazioni studiosi di varie estrazioni ma tutti accomunati dall’interesse profondo per l’opera del filosofo e storico ormai universalmente conosciuto per la sua opera di riedizione ed esegesi degli scritti di Friedrich Nietzsche, studi in sodalizio con Mazzino Montinari che hanno avuto il merito riconosciuto ed encomiabile di sottrarre il filosofo tedesco ad inappropriate sovrapposizioni frutto di una cattiva coscienza e di una ideologicamente prevenuta espunzione del suo

pensiero. Intorno al lavoro e alla figura di Giorgio Colli si sono dunque avvicendati, il primo giorno, Massimo Cacciari, Carlo Sini e Giorgio Campioni, mentre il secondo giorno ha visto le relazioni di Marco Martinelli, di Andrea Tonni e di Luca Torrente. Ha chiuso il documentario biografico “Modi di vivere - Giorgio Colli: una conoscenza per cambiare la vita”.
“Ma che c’entra il teatro?” si domanderà il lettore di una rivista di drammaturgia contemporanea come la nostra. C’entra eccome, perché il teatro ancora oggi continua ad affondare le sue radici in quella sapienza antica da cui ha preso il volo, insieme e strettamente abbracciata alla filosofia per poi separarsene forse solo in apparenza.
Una sapienza che precede ogni dialettica e che è adesione immediata ad un sentire che amalgama corpo e ragione. Per Giorgio Colli infatti la filosofia è innanzitutto una immagine letteraria, una suggestione del pensiero che porta con sé la percezione dell’essere come “vita”.
In quel tempo infatti che precede Platone il pensiero era soprattutto “sapienza” cioè un sentire completo e immediato, senza le mediazioni, appunto, della dialettica.
Simbolo di quella sapienza dunque, anche per Nietzsche, era quel dio nascosto e poliforme che alimenta indefessamente l’indicibile prima che questo venga detto nelle forme comprensibili all’uomo, nelle forme dell’arte apollinea.
Quel Dioniso nascosto che alimenta il teatro ed il coro che l’accompagna e che il teatro deve continuare a cercare per non essere semplice “erogatore” di spettacoli, come ci ha ricordato Marco Martinelli che uomo di teatro lo è da quarant’anni. Una ricerca che, per inciso, Teatro Akropolis ha avviato e sviluppa da tempo.