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Marco Maria Linzi scrive e mette in scena il fallimento di Kurt Tucholski, scrittore e intellettuale tedesco bandito dal regime nazista per le sue idee, le origini ebraiche, le simpatie socialdemocratiche, le posizioni pacifiste. Si rifugiò in Svezia e continuò a scrivere sotto pseudonimo, morì suicida nel 1935. Cafè Berlin, racconta nello stesso tempo il fallimento di Tucholski e la decadenza della nostra società. Si riconosco facilmente: escort, manager rampanti, intellettuali saccenti e cittadini benpensanti. La regia ricostruisce la scena di un caffè di Berlino negli anni della Repubblica di Weimer, negli spettacoli spesso si proponevano temi politici e a sfondo sessuale, per il divertimento del pubblico anticonvenzionale

che frequentava i locali. La libertà, in questi locali non era solo una questione di divertimento e fuga dalla realtà: in alcuni di essi, si organizzavano anche attività antinaziste. Torniamo indietro nel tempo e lo spazio del teatro si trasforma, non c’è platea, luci soffuse, sedie tavolini, piccoli palchi, musica dal vivo, gli attori girano fra il pubblico raccontando fallimenti di vita quotidiana. Marco Maria Linzi sorprende gli spettatori presentando un teatro in contraddizione e in controtendenza, una linea di ricerca coerente con il suo percorso artistico che lo vede impegnato in un teatro di respiro europeo. Infatti già a partire dal 2000 «avvia presso la propria sede la Stagione Sperimentale Europea, con l’intento di creare una realtà con un'identità definita ma non definitiva, dove dar spazio alla ricerca e alla comunicazione di nuovi linguaggi teatrali. Scambi e confronti con compagnie indipendenti nazionali e internazionali». La visione scenica di Linzi presenta una società/bordello che va verso il baratro mentre rimane seduta senza fare nulla, gustando al massimo un caffè o una birra, vendendo la propria vita, come le prostitute una volta vendevano il loro corpo nei bordelli della città. La musica composta da Massimo Airoldi e dallo stesso Linzi crea un’atmosfera cupa e grottesca, i cori e le coreografie in sintonia con l’ambientazione storica, molto efficace da un punto di vista uditivo e visivo. La drammaturgia costruita prendendo spunti da racconti e poesie di Tucholski (si riconosce facilmente “Il controllo”, “Berlino Berlino”) necessita tuttavia di un ulteriore approfondimento, poiché in alcuni punti risulta ridondante in centottanta minuti di spettacolo difficile non cadere nelle ripetizioni di concetti o di movimenti scenici. Quasi zombi i personaggi in scena cadono come foglie morte di un destino che non è possibile cambiare, di un’arte che non sa più parlare a nessuno. In scena Massimo Airoldi, Stefania Apuzzo, Micaela Brignone, Fabio Brusadin, Sabrina Faroldi, Stefano Slocovich, Stefano Tornese, Eugenio Vaccaro, Giacomo Valentini, Nazaré Xavier, Silvia Camellini, Silvia Romito, Jacopo Ferrari Trecate, Giorgia Zaffanelli, fisicamente perfetti nella loro decadenza. Il Teatro dell'Elfo, che produce lo spettacolo, traccia una linea interessante di sperimentazione, inserendolo nella stagione, un’apertura, una nuova modalità per sostenere compagnie di ricerca e sperimentazione. Spettacolo interessante su cui si può ancora lavorare, risulta poco convincente, per esempio, proprio il personaggio principale: incombe sul pubblico inciampando e zoppicando, una figura grottesca quasi un clown, meriterebbe uno spessore maggiore proprio perché rappresenta in qualche modo la voce del poeta. Il suo suicidio, la sua arte può ancora dire molto alle nostre generazioni. L’umanità è uno specchio e i numerosi specchi collocati nello spazio scenico rivelano le facce di possibili mondi scenici ancora da esplorare.  

CAFÉ BERLIN
Kabarett bordello
di Marco Maria Linzi
ispirato al fallimento di Kurt Tucholski
Teatro della Contraddizione, Milano, 21 aprile 2017