Pin It

Tutto accade davanti ad una grande porta collocata al centro del palcoscenico, una porta che introduce in un altro mondo, il mondo interiore, fatto di sangue e di viscere...  attorcigliate a forma di serpente. Tutto ha inizio dal gesto di Caino, un uomo giace a terra e il suo corpo inerte assomiglia a un tratto intestinale. Il mondo resta immobile  nell’incapacità di trovare un’alternativa alla violenza. Carmelo Rifici e Angela Demattè elaborano un testo scenico potente come un canto e delicato come una danza, per raccontare il mito e un pezzo della nostra storia recente che attende di essere elaborata. Una storia caotica, difficile da analizzare, un momento critico, l’unica strada possibile dare voce alle diverse interpretazioni, alle tante verità. Ed ecco che tutti quelli coinvolti nell’evento scenico ( tecnici, pubblico, attori, drammaturga, regista) , raccontano il proprio punto di vista per

comprendere, attraverso il mito di un sacrificio, la storia contemporanea. Non solo metateatro ma una molteplice visione che prende forma attraverso mezzi differenti: testo, musica, video, coreografie, immagini. L’allestimento scenico di Margherita Palli, è un grande studio, arredamento razionalista in stile anni quaranta, una libreria che arriva fino al soffitto, divanetti poltrone imbottite e... prove in corso: Ifigenia in Aulide, sacrificata dal padre Agamennone. Tutti in attesa e una domanda sospesa: è necessario realmente il sacrificio della giovane donna, affinché le navi degli Achei possano salpare per Troia? Un grande schermo sovrasta la scena e racconta miti ancora più antichi, quelli dei primi ominidi. Perché il sacrificio di Ifigenia è stato solo uno dei tanti che l’uomo ha compiuto anche in nome della religione, come gli atti di terrorismo di oggi a cui assistiamo senza poter fare nulla. Numerosi i riferimenti letterari: Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle a René Girard, Antico e Nuovo Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari, Ifigenia del poeta tedesco Volker Braun. Fra i tanti personaggi in scena, dubitano più di tutti proprio il regista e la drammaturga, consapevoli che il teatro deve cercare altre strade, nuovi codici di interpretazione magari corali. Chi potrà liberare le numerose giovani vittime dagli inutili sacrifici contemporanei? Nessuno è innocente, nemmeno il pubblico che può specchiarsi sul palcoscenico ripreso dalla telecamera del regista: siamo tutti responsabile. Ma qual è allora la soluzione? La soluzione è nella comunità, sembra suggerirci la regia visionaria e metafisica di Rifici, nello sguardo collettivo, nella cooperazione, per dirla con le parole di Gramsci. La soluzione è in un nuovo progetto di educazione laica della collettività. Creare una comunità in cui ogni individuo possa proporre per il bene comune il proprio patrimonio di risorse, non solo materiale, ma anche intellettuale. Questo processo è complesso, difficile e non ha fine, perché nasce sempre un nuovo livello superiore di cultura (la libreria slanciata verso il soffitto del palcoscenico) raggiungibile attraverso l’impegno e l’onestà intellettuale. È come una sete del sapere che non può essere mai completamente soddisfatta, perché deve trasformarsi continuamente nel metodo più vantaggioso per tutti: il senso di responsabilità e la maturità della collettività. Maturità, pensiero divergente scrittura cooperativa tre qualità che rendono questo spettacolo un sogno ad occhi aperti, una riflessione sul nostro domani. Gli interpreti hanno dato tutti eccellente prova di saper navigare fuori e dentro il mito. In ordine alfabetico: due ironiche corifee/ominidi Caterina Carpio e Francesca Porrini; Giovanni Crippa esilarante e riflessivo Calcante/Vecchio/Platone;  Zeno Gabaglio con le sue coinvolgenti musiche; Vincenzo Giordano un contenuto Menelao mai sopra le righe; Tindaro Granata (pacato e affidabile regista); Mariangela Granelli (drammaturga molto convincente); Igor Horvat (Odisseo fremente e irascibile);  Edoardo Ribatto (Agamennone combattuto nel suo dolore); Giorgia Senesi (Clitennestra forte e decisa); Anahì Traversi (Ifigenia commovente nella sua disperata scelta). I costumi Margherita Baldoni austeri e simbolici nel regalarci ora in un fregio del vestito, ora in mantello rosso, ora nelle stringhe di un sandalo, colti riferimenti storici. Spettacolo che vive e si nutre di diversi mondi come i nostri quotidiani sogni. Un labirinto sul viso per comprendere i tanti labirinti del cuore, per imparare a condurre in porto il dolore dei nostri comuni errori. Nonostante le numerose tempeste, il mare davanti a noi, è ancora fermo.

Milano, Piccolo Teatro Strehler, 27 aprile 2017

foto Masiar Pasquali