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Un invito a cena, dal palco. Si incita il pubblico: <<la cena è pronta!>>.  Cominciamo a scorgere i sopratitoli in italiano. L’attrice si aggira nervosa sul palcoscenico, invitandoci ad andare verso di lei, ripetendo che la cena è pronta. Nessuno spettatore si alza, nonostante ci sia a disposizione una scaletta che collega il proscenio alla platea. Non esiste quarta parete né divisione, neanche immaginaria: lo spettacolo non prevedere la semplice visione o condivisione, bensì una profonda partecipazione attraverso cui la platea è parte integrante del quadro scenico, testuale e allegorico. La pietanza apparirà. O meglio, è già lì, pronta per essere sbranata. E di belve parliamo, di quella pantera in gabbia che immagineremo in tutto il suo splendore, proprio alla fine di questo racconto: stiamo infatti parlando di narrazione letteraria, trasmutata e trasportata sul palcoscenico. Un breve

racconto pubblicato nel 1922 e firmato da Franz Kafka, testo prodotto nello stesso periodo in cui nasceva il meraviglioso, inquietante e “infinito” romanzo mai completato, dal titolo “Il castello”. Il digiunatore è un fenomeno da baraccone che, via via, perde il potere di attrarre il pubblico, passa di moda ed è dimenticato; tenta, così, di lavorare all’interno di un circo, ma viene declassato nella gabbia delle bestie e, poi, sostituito, una volta morto, con una pantera divoratrice.  L’ossimorica natura, quella dell’essere digiunatore e dell’essere divoratore, caratterizza l’intero racconto che, se non avesse la chiave di chiusura, ossia la belva, non avrebbe lo stesso impatto sul lettore, ed in questo caso sullo spettatore. Ad interpretare il digiunatore kafkiano troviamo inaspettatamente una donna: l’attrice Viktorija Kudodyté. Bionda, magrissima, è proprio lei ad invitarci alla cena, a cibarci della scena, ad assecondare ogni suo movimento, a spingerci a chiederci, in ogni istante, che cosa vorrà comunicarci questo spettacolo. L’impresario silenzioso, interpretato da Genadij Virkovskij, conduce la donna al racconto visivo di una storia narrata attraverso estrapolazioni dal racconto-fonte. L’intero spettacolo, infatti, è costruito attraverso momenti di sovrapposizione o di scollamento dalla fonte letteraria, producendo un effetto che non permette mai una totale fusione tra le due direttrici narrative, ossia quella testuale e quella scenica. Le parti del racconto sono unite attraverso la costruzione scenica dell’azione, che è appunto ricchissima, ma anche attraverso numerosi escamotage, messi in atto dagli stessi attori e dalla sapiente regia. Queste scelte sembrano non incontrare il favore di una larga fetta di pubblico, mentre i numerosi attori seduti in platea accolgono positivamente la performance, ma solo per quegli aspetti legati ai tecnicismi, identificando questo spettacolo in un modello artistico, una vera e propria lezione di regia e di recitazione. Sul palcoscenico del Teatro Bellini di Napoli, dal 19 al 20 aprile, il regista lituano Eimuntas Nekrošius propone un particolare punto di vista nell’utilizzo di una fonte letteraria a teatro, recuperando in parte quell’importante processo che il drammaturgo Enzo Moscato definisce “tradinvenzione” e che insegna a non  perdere di vista il riferimento al modello classico e alla tradizione, intendendo quest’ultima come momento di recupero di ciò che è sedimentato solidamente, ma funzionale ad una necessaria evoluzione che tradisca il punto di partenza.  Nel caso di questo spettacolo la scelta recitativa si orienta, in parte, verso un naturalismo spinto verso  estreme conseguenze, tanto naturale da sembrare artefatto, soprattutto nell’interpretazione dell’attrice, la quale, attraverso ogni parte del corpo e del volto, diventa narratore e protagonista insieme: bastano piccoli e semplici gesti, come spostare ripetutamente i capelli davanti agli occhi, per rendere l’attrice una vera e propria “belva” da palcoscenico. Questa estrema naturalezza, infatti, dà alla donna il potere e la possibilità di governare contemporaneamente la scena e la platea, sovrapponendo l’equilibrio apparente del digiunatore, davanti al pubblico incuriosito dal fenomeno da baraccone – come si narra nel racconto di Kafka – , a quello dell’attrice che diventa essa stessa fenomeno scenico davanti ad un pubblico reale. Gli attori che accompagnano l’attrice in questo viaggio – ricordiamo anche Vygandas Vadeiša e Vaidas Vilius - sono invece caratterizzati da un iperbolico utilizzo della gestualità, dall’assenza della parola, da una caratterizzazione grottesca che li rende marionette divertenti, figure eccessivamente caratterizzate, indispensabili all’azione, ma soprattutto irreali. Proprio loro, infatti, sembrano arrivare da un mondo di fantasia o da un’età remota – forse proprio il 1922 - e diventano mezzo funzionale per riversare in scena momenti caratterizzati da tecniche diverse, dalla clownerie, al mimo, alla danza, al l’acrobazia circense. Geniale appare la scelta della colonna sonora: ripetitiva e ossessiva, è caratterizzata, tra le note, dal suono di un cellulare. Molti spettatori si guardano attorno, con aria interrogativa, cercando di comprendere chi sia il “disturbatore”. La protagonista, inoltre, si accinge a suonare il pianoforte posto sul palcoscenico: la melodia ricalca le note della suoneria di una nota marca di cellulari. Il discorso si arricchisce di ulteriori elementi visivi e simbolici, dall’esposizione di diplomi e attestati che dimostrano le vittorie del digiunatore, all’assenza totale di riconoscimenti. Infine, la costruzione di una gru su cui è legato un cappio, che trascina simbolicamente l’attrice come se fosse una trapezista, ma che, in realtà, identifica la morte del digiunatore, simbolica e reale. L’utilizzo di meccanismi ed azioni legati al mondo del circo, da un lato recupera il riferimento testuale alla condizione artistica e allegorica in cui decade il protagonista, ma dall’altro ripropone in scena un’importante ed antica tradizione spettacolare, legata alla cultura dell’Est europeo, territorio da cui proviene la compagnia che ha realizzato spettacolo.
Il pubblico che osserva il digiunatore è costituito dai tre attori che si ritrovano spesso in platea tra gli spettatori reali. I tre continuano a mangiare gelati, con un atteggiamento infantile e ridicolo, mentre la protagonista continua a tirare lo sciacquone, il cui suono piomba, più volte, sul palcoscenico.  L’assimilazione dell’arte diventa, ormai, digestione e defecazione.
L’identificazione del digiunatore con l’artista e del pubblico con la belva, ma anche con il trascorrere del tempo, con la decadenza della purezza dell’arte, calza a pennello, emerge attraverso la lettura dello splendido testo che fortunatamente, ma anche con difficoltà, cerchiamo di seguire attraverso i sopratitoli, nonostante la durezza del suono della lingua lituana, ma certamente è anche espressa attraverso la scena. La scelta di non fondere completamente il testo con l’azione è segno di  una volontà che vuole dare gli attori in pasto al pubblico, affinché questi siano ricordati, osservati, affinché sopravvivano a tutti i costi, nonostante vengano poi “digeriti” e, quindi, eliminati.  Il digiunatore – non a caso il sottotitolo di questo spettacolo è A HUNTER ARTIST – cerca di sopravvivere attraverso un paradosso, cioè instillando nel suo corpo la morte, ossia il digiunare, ma muore davvero solo quando il pubblico non lo osserva più. La gabbia in cui è rinchiuso il digiunatore, descritta dalle parole di Kafka, non appare sulla scena, perché realtà è identificata nello stesso teatro in cui va in scena lo spettacolo.
Applausi timidi per questo spettacolo che, nonostante dimostri un recupero della fonte letteraria finalizzato ad una dimostrazione scenica legata a tecnicismi, rimane comunque un momento artistico internazionale che è necessario osservare per dar luogo ad un proficuo confronto con le produzioni e le regie italiane contemporanee.

UN DIGIUNATORE – A HUNGER ARTIST
Teatro Bellini Napoli
19-21 aprile 2017
A hunger artist - Un digiunatore
di Franz Kafka
con Viktorija Kuodyté, Vygandas Vadeiša, Vaidas Vilius, Genadij Virkovskij
regia Eimuntas Nekrošius
produzione Meno Fortas Theatre
con il sostegno di Consiglio di Cultura Lituano
organizzazione Aldo Miguel Grompone, Roma
Spettacolo in lingua lituana con sopratitoli in Italiano

Foto D. Matvejevc