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Un luogo suggestivo, ricco di fascino e mistero come quello degli Ambulacri del Teatro Greco Romano di Catania ha accolto di recente la coinvolgente proposta dell’attore e regista catanese Nicola Alberto Orofino, “Troiane, canto di femmine migranti”. La rielaborazione drammaturgica di Orofino per dare voce alle donne del mito si rifà a fonti classiche, ovvero Iliade e Odissea di Omero e le due versioni di Troiane dovute ad Euripide e Seneca. E’ uno spettacolo forte e che permette di riflettere e di analizzare le tragedie, i pericoli, le ossessioni che, provenienti dal passato, si rivolgono al presente. La pièce, strutturata come percorso itinerante nei meandri polverosi ed affascinanti degli ambulacri del Teatro Greco Romano, prevede per il pubblico sette stazioni con altrettanti monologhi o scene di circa 10 minuti ciascuno. Con la regia di Nicola Alberto Orofino ed i costumi e le scene di

Vincenzo La Mendola, lo spettacolo ha una durata di circa 80’ e si inserisce nel percorso della rassegna “Altrove”, promossa dal Teatro Stabile di Catania nei luoghi storici della città.
Il pubblico, organizzato in gruppi di 15 spettatori per volta, intrigato dal percorso negli antri del Teatro Greco Romano e dalla inconsueta collocazione degli interpreti dei sette monologhi, viene così coinvolto nelle drammatiche vicende delle Troiane Euripidee, le donne vittime di guerra che attendono la loro assegnazione come schiave ai vincitori. Un’attesa carica di ansia e affanno che si trasforma in dolore concreto e straziante all’annuncio delle destinazioni delle rifugiate. Da una stazione all’altra lo spettatore incontra la sofferenza, il dramma di personaggi di donne offese nel corpo, distrutte nell’anima come Cassandra, Ecuba, Elena, Polissena, Criseide, Andromaca.
Il lavoro vive sull’interpretazione sofferta, convincente - nei vari ruoli -  di Egle Doria, Silvio Laviano, Luana Toscano, Alessandra Barbagallo, Lucia Portale, Marta Cirello che fanno rivivere allo spettatore le tragedie, le ansie, le atrocità delle guerre, di ieri e di oggi, facendo riflettere di come sia ottuso, inutile e orrendo ogni conflitto che semina morte ed infinite sofferenze, con popolazioni sradicate dalle proprie terre e un calvario di donne. Grazie alle interpretazioni dei protagonisti si ritrovano caratteri, tipi, debolezze e prepotenze, pericoli ed affanni che riconosciamo nei nostri percorsi quotidiani.
La regia di Nicola Alberto Orofino – grazie soprattutto all’incantevole scenario naturale dei luoghi - da un senso compiuto, solenne, alla proposta itinerante ed il pubblico, dalla prima alla settima ed ultima stazione, riceve in cambio emozioni forti, applaudendo la proposta e gli intensi interpreti. Aderenti al contesto ed alla mise en espace i costumi e le scene di  Vincenzo La Mendola, assistente alla regia è Gabriella Caltabiano.
Lo spettacolo è prodotto da “La bottega del pane” in collaborazione con il Teatro Stabile etneo.
“In questo mondo - afferma l’autore e regista Nicola Alberto Orofino - c’è sempre una guerra. Non fa più notizia. E la guerra, si sa, si nutre d’indifferenza, apatia, cinismo. Le conseguenze sono sempre le stesse, mi soffermerei su quella più immediata: si scappa da un posto di guerra verso un posto in cui non c’è guerra. E quando il posto verso cui si scappa è casa nostra? Non ci piace per niente. Perciò una guerra non fa notizia, ma discutere sulle sorti dei suoi rifugiati fa tuonare i mass media. La riflessione guarda al presente, ma parte dai grandi testi classici. Nelle Troiane di Euripide, donne vittime di guerra attendono con dolore straziante la loro infima assegnazione come schiave ai vincitori. Quel dolore di ieri rivive oggi e sempre. E il dolore di chi non ha più niente, di chi ha perso la dignità, gli affetti, la propria terra. Quella terra che non esiste più, il cui nome è stato rimosso. Troiane, come donne e uomini di oggi, che devono ricostruire tutto, con quella debole forza di chi è stato cancellato”.
“Il lavoro - aggiunge Orofino – si inserisce nel solco dell’attività che io assieme ad attori come Egle Doria e Silvio Laviano, da sempre attenti alle sfide che la società ci impone, abbiamo svolto negli ultimi anni: ri-leggere i classici al fine di ri-interpretarne il carico di possibilità tematiche e valoriali che sono in grado di sprigionare. Attraverso una storia “antica” che è patrimonio della cultura universale, la mise en espace prova a parlare agli uomini e alle donne di oggi e del nostro territorio, porta meridionale di quel faticoso progetto politico che si chiama Europa, territorio di scambi e ponti, di scontri e divisioni, ma anche di integrazione fra culture spesso in antitesi. L’arte del teatro mi sembra la più legittimata a riflettere su tutto ciò, perché è arte della contemporaneità fra chi produce relazioni e chi usufruisce di quel rapporto. Non intendiamo in alcun modo fornire risposte o soluzioni, ma accendere la miccia della consapevolezza, della critica, del ragionamento attorno ad un tema che ci tocca tutti nella nostra dignità di esseri umani. Un intento ambizioso, ma che riteniamo essere un urgente contributo nell’ottica della ricostruzione di nuove fondamenta civiche”.