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Regista e drammaturgo siciliano, Francesco Randazzo è uno degli autori più originali nel panorama teatrale italiano, proviene dalla fucina di Giuseppe Di Martino, il più grande maestro di teatro che Catania abbia avuto. Ha studiato regia all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” a Roma e si è diplomato in Regia nel 1991, ha lavorato molto all’estero come regista e come autore, i suoi testi teatrali sono stati tradotti in spagnolo, ceco, francese e inglese e rappresentati in Canada, Usa, Croazia, Spagna, Francia, Cile. Nel corso degli anni ha scritto e pubblicato racconti, romanzi, poesie. Parallelamente svolge attività didattica con corsi di recitazione, regia, drammaturgia e scrittura creativa, storia dello spettacolo, stages e conferenze per varie istituzioni pubbliche e private. E’ stato fondatore e direttore artistico della Compagnia degli Ostinati – Officina Teatro.

Recentemente Francesco Randazzo ha visitato a Catania la nuova Sala Giuseppe Di Martino, inaugurata dal collega ed amico Elio Gimbo che gestiste la neonata struttura, residenza artistica del Gruppo Fabbricateatro. In tale occasione abbiamo avuto modo di dialogare piacevolmente di teatro e cultura con il drammaturgo e regista.

Come è nata in lei la passione per il teatro e per la scrittura e quali ostacoli ha incontrato nell’intraprendere la sua attività?
“Credo come tutti, da ragazzo, facendo teatro dopo la scuola, scrivendo poesie per le ragazzine di cui avevo una cotta; ero, in realtà, più appassionato di astronomia e di musica, avrei voluto fare l’astrofisico o il direttore d’orchestra; invece dopo la maturità, feci l’audizione per la scuola del Teatro Stabile e Di Martino, che ne era il direttore, mi prese. Dimenticai tutto il resto, furono anni formidabili, seguiti da quelli in Accademia, dove oltre che studiare regia, fui invogliato a scrivere dal direttore Luigi Musati e da Andrea Camilleri, che insegnava regia, ma le cui lezioni erano una straordinaria girandola affabulatoria a tutto campo. Grazie a loro mi diplomai con un saggio di spettacolo su un mio testo, allora era un caso raro.
Gli ostacoli che ho incontrato sono tanti, ma perché parlarne? Fanno parte di quel percorso accidentato che ogni persona deve compiere per riuscire a realizzare i propri obiettivi. Dico solo che non è stato facile, continua a non esserlo, ma in fondo la vita è questo, no? Una sfida, un nobile agone, diceva Di Martino. Certo, oggi, di nobile c’è rimasto ben poco…”.

Cosa le ha dato e cosa le continua a dare la professione di regista e di drammaturgo…
“La possibilità di andare oltre me stesso, di conoscere persone, paesi, culture, le più diverse; il lavoro, spesso all’estero, mi ha aperto la mente e mi ha arricchito molto. Da questo discende poi, un senso di responsabilità, professionale e artistico, per tutto quel che faccio o tento di realizzare, scrivendo o facendo regie. Una responsabilità etica, intendo. Qualunque genere si affronti, commedia o dramma, che non sia solo un atto di mestiere per me e di passiva distrazione per il pubblico”.

Il legame con la sua terra…
“Il legame con la Sicilia è forte, seppure pieno di contraddizioni e contrasti, non è una terra facile, per usare un eufemismo; ma è impossibile staccarsene, né lo vorrei, sono piuttosto, come dico spesso, autoironicamente, un siciliano della diaspora, che non può vivere nella sua terra, ma che ne vive una nostalgia atavica, idealizzata, forse migliore della realtà, perché diventa una sorta di mitopoiesis personale”.

Il pubblico a teatro. Cosa vuole vedere, secondo lei, oggi lo spettatore?
“Qualcosa che lo faccia sentire meno stupido di quanto la politica, la televisione e certa incultura diffusa del web, facciano. A teatro vuole trovare qualcosa che lo interpelli come persona, che scommetta su di lui, sfidandolo ad essere migliore, sia piangendo che ridendo. Una catarsi che non lo assolva, né lo condanni, ma che lo spinga in avanti, a interrogarsi e tentare risposte, per la vita, per il mondo, per dare un senso a questo nostro esistere, che di per sé può essere un’abitudine stanca, passiva”.

L’attuale status del teatro, della scrittura e della nuova drammaturgia…
“C’è molto fermento creativo, a fronte di una stanchezza delle strutture tradizionali. Siamo in un’epoca in cui qualcosa sta morendo, ma qualcos’altro di vivo e potente sta nascendo. Essendoci dentro, da artista coinvolto in prima persona, non so dire, freddamente, come e cosa accadrà, ma sento che siamo ad un punto di trasformazione importante”.

Crisi della cultura in Italia. Quali dovrebbero essere gli interventi per rilanciare l’intero comparto e per dare nuova linfa ai teatranti?
“Fuori la politica deteriore, le nomine clientelari, le ingerenze e i traccheggi. Finanziamenti certi, ma controlli sugli sprechi, detassazione e sponsorizzazioni esentasse. Invece di sfornare leggi e circolari provvisorie e mercantili, la politica dovrebbe creare strutture e opportunità, regole semplici e chiare, contribuire economicamente per lo sviluppo culturale e artistico tout court, sparire dai consigli d’amministrazione, sfoltire decisamente i baracconi clientelari che fanno costare i teatri cifre iperboliche anche stando fermi. Penso ad esempio al modello francese o a quello tedesco.  Se poi si regolasse tutto il settore contrattuale e previdenziale degli artisti, sarebbe un salto in avanti enorme, siamo una categoria di “paria” se si tratta di diritti”.

I suoi consigli ai giovani che oggi, in Italia, vogliono fare i registi, gli autori o gli attori…
“Non seguite i consigli. Ma studiate come matti, siate propositivi, scavalcate gli ostacoli, siate nomadi, generosi, umili ma testardi,  rompicoglioni e creativi: questo è il minimo che serve”.

Chi è Francesco Randazzo nella vita di tutti i giorni?
“E’ una persona schiva, per niente amante della mondanità. Vivo tra i miei libri e i miei affetti, amo cucinare, strimpellare musica, stare con mia moglie e mio figlio, frequentare pochi veri amici. Credo di essere un po’ in difficoltà fuori dal lavoro e nei rapporti sociali, probabilmente sono un Asperger…”.

Un sogno che vorrebbe realizzare…
“La felicità di mio figlio”.

I suoi prossimi impegni?
“Questa estate farò alcune presentazioni del mio ultimo libro, “Alito e Calce”, Ensemble Edizioni ed è in scena il mio "Pentesilea vs Achille" (finalista al Premio Cendic Segesta) interpretato e diretto da una bravissima artista, Cinzia Maccagnano, per la quale l'ho scritto. A Settembre sarò in America del Sud con uno spettacolo concerto "Malie della luna", mia drammaturgia su testi di Pirandello, del quale ricorre l'anniversario. In cantiere poi altri progetti, sempre all'estero...”.