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Se fossimo in libreria o al cinema non ci meraviglieremmo, i biopic vanno alla grande con quella loro capacità di narrare vite di grandi personaggi in modo più o meno fedele alla realtà. A teatro succede meno spesso, vuoi per l’impresa ardua di condensare su un palcoscenico un’intera vita, vuoi per i palati sopraffini dei frequentatori delle sale di prosa.  Andrée Ruth Shammah ha deciso di cimentarsi con l’operazione curando l’adattamento teatrale e la regia di “Memorie di Adriana”, spettacolo tratto dal libro “Ricordare e dimenticare, conversazione tra Adriana Asti e René De Ceccatty”, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano (via Pier Lombardo, 14) fino al 24 settembre 2017. La Shammah, signora del teatro milanese, mente e cuore del Franco Parenti, incontra il mostro sacro della scena italiana, Adriana Asti, con tanta voglia di omaggio alla celebrity, garantendo quel

giusto taglio tra il biografico, il memorial e molto altro. Già, perché il punto è questo. Uno spettacolo con Adriana Asti che si limiti a celebrarne la grandezza sarebbe uno spreco infinito. Non serve, lo sappiamo tutti quanto sia grande. Le sue amicizie con Pasolini e Moravia, attrice di cinema in Francia e Italia per i più grandi registi dei decenni passati, i palcoscenici italiani, i suoi testi come autrice, il suo disinvolto passaggio dal nudo al vestito, dal tragico al leggero come una vera dea della scena.
Ma a teatro si va per raccontare non per commemorare. E qui inizia il bello. La coppia Shammah-Asti immagina che lei, la protagonista, non voglia uscire dal suo camerino. Capricciosa e testarda come una diva, non ne ha voglia, questa sera. Così il suo alter ego – che ripete amabilmente di tanto in tanto “io so perché io c’ero”, ossia sempre la Asti – inizia una narrazione in terza persona secondo quel cursus tanto caro agli psicanalisti. Una narrazione ironica ma col cuore che batte, ricca di dettagli, grondante di emozioni di vita che si trasferiscono sempre più dalla chiacchiera su una assente che non esce dal camerino, alla vera storia di chi sta parlando sul palco.
Cinema, teatro, vagabondaggi, pettegolezzi, nomi celebri, fragilità, infanzia, violenze. C’è una vita intera, con quella sincera levità di chi, a 84 anni, può permettersi tutta la sfrontata sincerità di questo mondo.
Adriana canta e ammicca, il suo volto è divertito e divertente anche agli occhi di chi nel Novecento non era ancora nato (e ce ne sono in sala!).
Il tempo vola, lei è una macchina da guerra su quel palco, gli altri personaggi sono spalle secondarie alla sua narrazione. Alla fine il rito si conclude con la gioiosa sensazione di aver reso omaggio alla dea del teatro –certamente – ma soprattutto con la felice leggerezza nel cuore di aver condiviso un pezzo della storia del teatro e del cinema europeo. A tutto il pubblico in sala pare di aver avuto il privilegio di una sincera confidenza con chi è inarrivabile e lontano, di aver sorriso davanti a quell’ego birichino e anticonformista che tanta traccia ha lasciato nel linguaggio espressivo del nostro fare teatro.
Questo vale tantissimo. E’ l’essenza più vera del teatro, esserci non solo come spettatore ma sentirti parte di un flusso vivo. Imperdibile!